La rapina sui salari continua
Diciamo NO

Nel corso degli ultimi 15 anni, in Italia, si sono spostati dai salari ai profitti e alle rendite, ben 10 punti percentuali di Prodotto interno lordo. Si tratta di oltre 120 miliardi di euro l’anno, pari a una rapina padronale di circa 7.000 euro medi annui per ogni lavoratore o lavoratrice dipendente.
Il calcolo è stato fatto dalla Banca dei regolamenti internazionali, un istituto dipendente dalla Banca centrale europea, l’organismo che riunisce e coordina le banche nazionali di tutti i paesi dell’Unione europea, un organismo certamente non di parte operaia.
Ecco le cifre dell’impoverimento salariale che ha portato le retribuzioni dei lavoratori e delle lavoratrici italiane all’ultimo posto della graduatoria continentale.
Nel frattempo, dopo tante chiacchiere elettoralistiche sulla impossibilità di arrivare alla quarta settimana, l’inflazione sta riprendendo a correre (basta vedere la benzina) e i salari si presentano totalmente indifesi e sono destinati ad un’ulteriore perdita di potere d’acquisto.
Questo impoverimento si verifica dall’inizio degli anni Novanta, quando venne abolito il meccanismo di recupero automatico dei salari sull’inflazione (“scala mobile”) e venne adottato dai sindacati confederali un moderatismo salariale, che ha ridotto i contratti nazionali di lavoro ad un estenuante e disperata rincorsa del costo della vita, mentre i padroni si arricchivano smisuratamente.
Oggi la Confindustria vuole un ulteriore peggioramento dei meccanismi contrattuali, al fine di ridurre ulteriormente il valore del salario nazionale, per destinare maggiori risorse alle paghe variabili, quelle legate all’aumento dello sfruttamento individuale, all’aumento degli orari di fatto, all’incremento dei ritmi, all’aumento dell’arbitrio padronale, al ricatto sui lavoratori e sulle lavoratrici, all’annientamento della loro dignità.
Il governo Berlusconi, ma con l’assenso anche del “governo ombra” di Veltroni, proprio per questo taglia drasticamente le tasse e i contributi previdenziali sugli straordinari e sui premi di produttività, dopo che questa politica era stata intrapresa già dal governo Prodi, con il “Protocollo sul Welfare”.
Queste misure puntano a produrre di più con meno lavoratori, a costi decrescenti. Le prime vittime saranno le donne (che, per come è organizzata la società, non possono sobbarcarsi gli straordinari), i giovani, che non saranno assunti, perché le esigenze produttive verranno coperte con un maggiore sfruttamento dei lavoratori già in forza. Poi, a farne le spese, saremo tutte e tutti.
A intascarne i vantaggi saranno ancora una volta i padroni.
I vertici sindacali confederali non solo non si oppongono, ma anzi si predispongono ad assecondare questo disegno padronale, varando un progetto di revisione del “modello contrattuale” che va in quella direzione. Proprio in queste settimane questo progetto di revisione dovrebbe essere sottoposto alla discussione nelle fabbriche e nei posti di lavoro. I sindacalisti lo presenteranno come una promessa di miglioramento. Non è vero. È una ennesima truffa.
Occorre dire di no.
Occorre che si rivendichi lo sviluppo di un massiccio movimento di sciopero e di lotta generale e intercategoriale per imporre un ingente incremento secco degli stipendi e dei salari.
Contro i disegni della Confindustria, le misure del governo, la complicità dei vertici confederali

Diciamo NO