Il Libano verso una nuova guerra civile?
Intervista a Gilbert Achcar
1. Dopo
gli eventi di questi giorni. La situazione ad oggi sembra confermare la
vittoria del «primo round» da parte di Hezbollah e i suoi alleati. Cosa
ne pensi?
Quello che è accaduto è molto chiaramente un
cambiamento sul piano dei rapporti fino ad oggi latenti e che ora si
sono esplicitati. Hezbollah e i suoi alleati hanno posto l’accento
sulla priorità militare, per prendere il controllo di Beirut Ovest.
Questo significa prendere il controllo di una zona a predominanza
sunnita, dato che, invece, i cristiani sono predominanti nell’Est della
capitale; con combattimenti che si sono estesi anche in altre regioni
del Libano, che però non hanno avuto implicazioni così drammatiche come
a Beirut.
È soprattutto ciò che è avvenuto a Beirut che fa
emergere una situazione nella quale Hezbollah e i suoi alleati appaiano
come nettamente superiori militarmente, soprattutto agli occhi della
maggioranza di governo.
Da questo punto di vista è una ulteriore
sconfitta eclatante per Washington, visto che la maggioranza
governativa è alleata degli Stati Uniti, sostenuta dagli alleati arabi
degli Stati Uniti, il regno saudita, l’Egitto.
L’amministrazione
Bush non cessa di accumulare sconfitte in Medio Oriente. Per usare
un’immagine calcistica è come una squadra che ha già chiaramente perso
e continua a incassare altri goal negli ultimi minuti della partita.
Questo
ulteriore obiettivo raggiunto da Hezbollah e dai suoi alleati, compresi
la Siria e l’Iran, conferma ciò che era stato rilevato fin dalla guerra
del 2006 contro il Libano: ossia, che l’amministrazione Bush è un vero
disastro nella politica estera e interna.
1) In questa situazione qual è il ruolo dell’esercito libanese?
Nell’atteggiamento dell’esercito libanese ci sono due parametri importanti che lo determinano.
Il
primo è che in ogni caso questo esercito non può avere un ruolo
«interventista» nel conflitto. Esso non può agire che come forza di
«interposizione». È un esercito si potrebbe dire che equivale ai Caschi
Blu dell’ONU. E questo perché è un esercito che riflette la
composizione della popolazione del Paese e che se dovesse prendere
parte attiva nello scontro, da una parte o dell’altra, andrebbe
incontro a una divisione. E questo produrrebbe un fenomeno sconosciuto
in Libano: l’esplosione dell’esercito.
Il secondo parametro è che
il capo dell’esercito è accettato sia da Washington e gli altri che da
Hezbollah come il futuro Presidente della Repubblica, ed egli vuole
coltivare quest’immagine di neutralità nel conflitto interno, per
salvaguardare la possibilità di essere eletto.
Questi due
parametri: la composizione dell’esercito e i calcoli del suo capo fanno
si che l’esercito si limiti a un ruolo di interposizione.
2) Secondo
te c’è un legame tra lo sciopero generale e gli scontri scoppiati nello
stesso giorno?
No, onestamente penso che lo sciopero generale
sia stato un puro pretesto. D’altronde ben presto sono stati
dimenticati i motivi per cui era stato proclamato: le rivendicazioni
sociali ed economiche.
Sicuramente lo sciopero era stato
proclamato contro il governo, ma la stessa opposizione egemonizzata da
Hezbollah non fa alcuna allusione a queste rivendicazioni.
Tutto si
concentra da una parte sulle misure adottate dal governo che hanno
fatto esplodere la situazione, dall’altra le trattative politiche sul
futuro delle istituzioni tra l’opposizione e la maggioranza
parlamentare. Dico maggioranza parlamentare perché è maggioranza
in parlamento ma probabilmente non nel Paese.
3) In
Occidente molti descrivono l’azione di Hezbollah come un colpo di
Stato, facendo, anche, un paragone con l’azione di Hamas a Gaza nel
giugno 2007. Sempre in Occidente molti osservatori sostengono che lo
scopo di Hezbollah sarebbe quello di instaurare una repubblica islamica
in Libano, tu cosa ne pensi?
Inizio a rispondere dalla fine. No,
non credo che lo scopo ultimo di Hezbollah sia quello di instaurare una
repubblica islamica in Libano. Questa è un’assurdità.
Già è più
serio porsi la domanda se si tratta di un colpo di Stato e se ci sono
analogie con quello che è accaduto a Gaza con Hamas, e a questo
proposito, direi, che ci sono dei punti in comune, ma anche,
sicuramente delle differenze importanti tra le due situazioni.
Iniziamo
con le differenze. Gaza, innanzitutto, è un territorio molto più
piccolo del Libano, geograficamente isolato dall’ambiente circostante;
questo non è il caso di Beirut.
Beirut è la capitale del Libano e non è isolata dal resto del Paese.
In
secondo luogo Gaza ha una popolazione omogenea a livello confessionale,
quindi la presa del potere a Gaza era una possibilità e Hamas l’ha
fatto.
In Libano, Hezbollah sa perfettamente che non può prendere il
potere. E lo ha dichiarato apertamente fin dalla sua fondazione. Ha
dichiarato che non vi sono le condizioni per realizzare una repubblica
islamica in Libano, perché è un Paese multi-religioso,
multi-confessionale. Hezbollah è soprattutto impegnato nel controllo
della propria comunità religiosa.
Ciò che è avvenuto a Beirut in
questi ultimi giorni non è una presa del potere da parte di Hezbollah.
È, molto evidentemente, un’azione militare di Hezbollah contro il campo
avverso, una «presa del territorio» da parte di Hezbollah e dei suoi
alleati, che sono per la maggior parte delle forze strettamente legate
alla Siria. Anche Hezbollah è legato alla Siria, ma prioritariamente
all’Iran, come è noto.
Hezbollah ha spinto l’esercito a
dispiegarsi nelle zone che ha conquistato militarmente, pur ripetendo
di non avere intenzione di prendere il potere.
Ha, invece, continuato a ripetere di voler segnare un rapporto di forza e mostrare chi è il più forte.
All’inizio
Hezbollah ha presentato la sua come un’azione di difesa. Ossia ha
detto: il governo ci ha dichiarato guerra decidendo lo smantellamento
la nostra rete telefonica e destituendo l’ufficiale responsabile
dell’aeroporto, che è vicino all’opposizione. Hezbollah ha interpretato
questo come un segno ulteriore della volontà di aggredirlo militarmente
e non solo politicamente. Quindi ha reagito come si è visto.
Ma,
visto quello che ha fatto e l’ampiezza dell’azione, non si può dire che
si tratti di un atto di difesa, se non nel senso della difesa
preventiva. Visto che Hezbollah ha lanciato una campagna che va ben al
di là di ciò che sarebbe stato necessario per annullare i provvedimenti
del governo a esso contrari.
Da questo punto di vista c’è un punto
in comune con Gaza. Nel senso che anche a Gaza l’azione di Hamas è
stata un’azione preventiva contro ciò che andava preparando Dahlan, la
frazione dell’Autorità palestinese più legata a Washington. Che con il
suo aiuto preparava un’azione contro Hamas e quindi ha messo le mani
avanti con un’azione preventiva.
Con la differenza che, a Gaza,
Hamas è andato ben oltre lo smantellamento delle forze di Dahlan. Esso
ha semplicemente soppresso l’Autorità palestinese di Fatah a Gaza. Ma
Hamas aveva dalla sua parte l’argomento di essere il governo eletto nei
territori palestinesi.
In Libano anche se Hezbollah non ha preso il
potere, l’ho detto e lo ripeto, non toglie che io pensi che sia andato
nella sua azione di forza ben oltre di ciò che era necessario.
Ossia,
oggi di fronte a questa azione l’immagine di Hezbollah, in quanto forza
militare che si è sempre presentata come forza di resistenza e che
quindi era differente dalle milizie che sono esistite ed esistono
ancora in Libano, sulla quale Hezbollah ha fondato la sua legittimità,
è stata pesantemente incrinata. Per la ragione che Hezbollah ha usato
la sua forza militare, alleandosi con dei gruppi che in buona parte
sono agenti di Damasco e che sono delle vere e proprie bande senza
alcuna legittimità politica, a differenza di Hezbollah. E questo
cominciando da Amal, l’alleato più stretto di Hezbollah, che è una
banda che assomiglia molto più a una milizia confessionale che a una
forza di resistenza.
Hezbollah ha impegnato la sua forza militare
con questi alleati, in un’azione per la presa del controllo di Beirut
Ovest e delle zone a predominanza sunnita. Da quel momento, Hezbollah,
appare come una forza che utilizza le sue armi all’interno del
conflitto confessionale libanese. E questo ha già aggravato la
polarizzazione confessionale e bisogna temere fortemente che quello che
hanno rilevato alcuni mass media si avveri, ossia: l’irachizzazione del
Libano. E per irachizzazione del Libano si intende lo scenario in cui
le forze dominanti sciite, numericamente e politicamente dopo
l’invasione americana, hanno dovuto far fronte a una guerra
confessionale delle forze sunnite, molto sanguinosa, che ha preso la
forma di attentati suicidi, con macchine imbottite di esplosivo, ecc.
Temo
che questo succederà anche in Libano nel prossimo futuro e che le
fazioni wahhabite e salafiti, del tipo di quelle presenti in Iraq,
entrino in azione anche in Libano contro gli sciiti, rafforzando la
dinamica di guerra religiosa e confessionale, rilanciata dai recenti
scontri. Fino ad ora in Libano questo è stato evitato esattamente
grazie all’immagine di Hezbollah e quella sorta di «accordo di pace»
tra le comunità che esisteva dalla fine della guerra civile nel 1990. E
il fatto che Hezbollah, effettivamente, appare come una forza orientata
alla difesa contro Israele ha fatto si che anche i salafiti, estremisti
alla Bin Laden, non potessero attaccare gli sciiti libanesi perché ciò
sarebbe stato estremamente impopolare nel mondo arabo.
Dopo quello
che è avvenuto l’immagine di Hezbollah sta cambiando, anche se non
completamente. Però bisogna dire che dopo gli ultimi eventi, la
propaganda attraverso la quale gli alleati di Washington, Arabia
Saudita, Egitto e Giordania, hanno tentato in particolare dall’estate
del 2006 di discreditare l’Iran e Hezbollah usando l’argomento
religioso, che fino ad oggi aveva avuto un impatto minimo, mi sembra
che siano rafforzati.
E questo è l’aspetto più grave.
4) In questa situazione Israele può cogliere l’occasione per intervenire?
Credo
che Israele non sia in grado, anche vista la sua crisi interna, di
lanciarsi nuovamente in un’azione ampia come quella del 2006 in Libano.
Non a causa della presenza dell’UNIFIL. Non è questo che impedisce a
Israele, se lo volesse, di invadere il Libano. Le truppe della NATO non
si contrapporrebbero a un intervento israeliano. L’impedimento deriva
dalla forza della resistenza contro la quale le truppe israeliane si
sono già scontrate. Già nel 2000 esse hanno dovuto ritirarsi
dall’ultima parte del Sud del Libano che avevano occupato dal 1982.
Tutto questo fa si che Israele non prenda in considerazione
un’invasione terrestre. Quindi ciò che mi sembra gli israeliani
prendano in esame per vendicarsi dell’onta del 2006, sono degli
attacchi più mirati. L’assassinio di Mughniyeh, il capo militare di
Hezbollah, qualche tempo fa, è stato percepito da Hezbollah come un
segnale.
Questo, credo, sia anche alla base degli ultimi eventi.
Ossia, il timore di un’operazione israeliana mirata, compresa
un’operazione di commando, che miri a decapitare Hezbollah. Questa,
d’altronde, questa è la ragione per cui Nasrallah non si mostra più in
pubblico. Lo ha fatto qualche volta subito dopo l’estate 2006, ma egli
sapeva che all’epoca Israele era ancora sotto shock per la sconfitta
subita. Nasrallah sa di essere minacciato e che Israele tenterà alla
prima occasione di assassinarlo.
D’altronde nessuno auspica un
intervento di Israele nel conflitto libanese. Anche Washington non lo
vuole, perché questo metterebbe in grave imbarazzo i suoi alleati.
Anche la maggioranza governativa non vuole l’intervento di Israele.
D’altronde
anche gli Stati Uniti non possono che limitarsi a dei bombardamenti
grazie alla loro flotta e a un intervento aereo. Viste le difficoltà in
cui essi si trovano in Afghanistan e in Iraq è difficilmente
immaginabile possano aprire un nuovo fronte, con un nuovo intervento
terrestre. Un fronte così è difficile, si è visto fino a che
punto è difficile ottenere qualcosa sul terreno, dopo la capacità di
resistenza dimostrata da Hezbollah nel 2006.
Quindi Hezbollah si
sente minacciato e vede accumularsi all’orizzonte molti segnali
preoccupanti come anche le dichiarazioni di Berlusconi e del suo
ministro degli esteri sul cambiamento del mandato dell’UNIFIL.
Queste
dichiarazioni sono state interpretate da Hezbollah come la volontà di
mettere in atto quello che sembra essere il piano di Washington. Ossia,
una combinazione tra le truppe libanesi, l’esercito e i suoi alleati, e
le forze NATO presenti in Libano per ingaggiare uno scontro con
Hezbollah.
Questo, e Hezbollah lo sa bene, è lo scenario pianificato da Washington.
In
questo quadro anche se l’azione di Hezbollah è stata un’azione di
difesa preventiva, essa ha, a mio parere, oltrepassato i limiti e ha
creato una situazione che a media scadenza potrà rivelarsi pericolosa e
nefasta. Ed è fortemente possibile che ciò che è appena accaduto resti
nella storia non come un episodio passeggero, ma come il primo round di
una nuova guerra in Libano, anche se potranno esservi dei periodi più o
meno lunghi di tregua tra i diversi round. Perché oggi le tensioni e
rancori accumulati sono forti, d’altra parte la dimostrazione di questo
è il fatto che la coesistenza tra la forza militare di Hezbollah e uno
Stato libanese che sia sovrano sul proprio territorio, si dimostra nei
fatti quasi impossibile.
Hezbollah è uno Stato nello Stato, ma in
più ha confermato di essere in grado di imporre le sue condizioni allo
Stato [ufficiale]. Mentre prima poteva sembrare uno «Stato di
resistenza» contro le invasioni di Israele, che invece lo Stato
«ufficiale» non è in grado di contrastare, né di proteggere la
popolazione del sud del Paese.
5) Come interpreti il fatto che Michel Aoun non prenda parte al conflitto?
Si
dagli scontri è fuori. Credo non abbia alcun interesse a uno scontro.
Se Aoun intervenisse si creerebbe uno scontro inter-cristiano. Egli sa
che militarmente sarebbe facilmente sconfitto da Samir Geagea, il capo
delle Forze Libanesi dell’estrema destra. Geagea oggi è probabilmente
maggioritario nelle regioni cristiane.
Aoun non ha interesse a spostare nelle regioni cristiane il conflitto.
Quello
che è interessante è che Geagea non ha reagito. E credo che questo
avvenga perché l’opinione pubblica nelle regioni cristiane è
estremamente ostile a ogni tipo di scontro nelle loro regioni. Queste
vorrebbero preservarsi dallo scontro, come avviene ora. E la gente vede
il vantaggio di ciò. Estendere lo scontro lo renderebbe impopolare.
Penso che aspetti perché se scoppiano degli scontri nelle zone
cristiane, non si limiterebbero a queste. Hezbollah darebbe il suo
appoggio a Aoun e questo significherebbe fare la scelta di incendiare
tutto il Paese. Facendolo piombare in piena guerra civile.
Se la
dinamica attuale prosegue, acuendosi, cosa che mi sembra la cosa più
probabile nel lungo periodo, le condizioni di una soluzione sono
difficili da immaginare.
Se tutto ciò accade assisteremo ancora a
una nuova guerra civile in Libano, all’esplosione dell’esercito,
all’aiuto e all’intervento delle potenze regionali e internazionali a
fianco di ciascun campo.
7) Che ruolo gioca la Siria?
La
Siria teme di vedere la guerra confessionale libanese estendersi al suo
interno: già nel Libano del Nord vi sono stati scontri tra la minoranza
alauita libanese e sunniti. Questo è un fattore di rischio per il
regime siriano perché esso stesso è dominato dagli alauiti, minoritari
in Siria, dove la maggioranza della popolazione è sunnita. Se
scoppiasse un conflitto confessionale in Siria, significherebbe la fine
del regime attuale. Per ora il regime ha tutto sotto controllo.
Invece,
è sufficiente leggere i tanti commenti sulla stampa israeliana che
dicono: il problema di Hezbollah noi non siamo in grado di affrontarlo
e risolverlo, come anche Washington. Dell’Europa è inutile parlare.
Quanto a delle truppe arabe, mi sembra che esse avrebbero difficoltà a
gestire la situazione senza un accordo con Damasco. Quindi, l’unica
soluzione è parlare con Damasco. Sia su Haaretz che altri giornali
israeliani spesso si leggono rimproveri a Washington per non aver
spinto il governo israeliano a parlare con Damasco. A questo si
aggiungono le raccomandazioni agli Stati Uniti del «Iraq Study Group»
di Baker-Hamilton, nelle quali i negoziati con Damasco sono un elemento
importante. La Siria può interpretare tutto questo come dei segnali a
suo favore.
Quindi è chiaro che la Siria mette tutto sul tappeto
esigendo 1) che spariscono le minacce che pesano su di essa soprattutto
per il Tribunale Internazionale per l’assassinio di Rafic Hariri, 2) un
cambiamento di atteggiamento verso di essa e il riconoscimento della
sua tutela sul Libano. Non bisogna dimenticare che è già intervenuto in
due riprese a Beirut nel 1976 et 1987, per sostenere gli alleati di
Washington dopo aver sostenuto i loro avversari dall’esterno. La
seconda volta fu seguita da scontri tra le truppe siriane e Hezbollah.
Non è da escludere vi sia una terza volta.
Non è da escludere che
il regime siriano venga «implorato» di reintervenire anche
militarmente, direttamente o indirettamente, ossia bloccando le strade
di comunicazione da dove transitano gli aiuti iraniani per Hezbollah
che attraversano la Siria, dato che sia per Israele che per Washington
il regime siriano è molto meno inquietante del regime iraniano. Israele
non ha problemi con il regime siriano: la sua frontiera con la Siria è
la più calma di tutte.
Ovviamente questi sono elementi della complicata equazione mediorientale, di cui il Libano fa parte.
Intervista realizzata il 13 maggio 2008