Non
sempre le ideologie si presentano esplicitando i loro
riferimenti concettuali e la loro struttura profonda. Anzi spesso
accade il contrario. Per suscitare interesse,essere performative,
conquistare una porzione del “mercato sociale delle idee” debbono
celare i loro reali meccanismi di funzionamento. Lo fanno coniugando
una serie di affermazioni, spesso sotto forma di artifici retorici,
che si suppongono autoevidenti per il senso comune, che nel caso
delle “teorie” sulla decrescita dovrebbe essere quello ecologista. Ciò
è possibile a una condizione: navigare sempre al largo dagli scogli
dello sfruttamento capitalistico del lavoro vivo e del rapporto tra
natura e valorizzazione del capitale.
Definire cosa sia la
decrescita non è facile vista la notevole e contraddittoria produzione
letteraria degli ultimi anni e , quantomeno nel caso italiano, la
scarsa comprensione reciproca tra le varie associazioni, reti, partiti,
gruppi informali che a tali “teorie” fanno riferimento.
Serge Latouche riformista o rivoluzionario ? Entrambe le cose.
Tutti
comunque in un modo o nell’altro assumono come orientamento principale
l’elaborazione di Serge Latouche. Conviene quindi partire da qui. Ed è
qui che nascono i primi problemi: “Decrescita è semplicemente uno
slogan che raccoglie gruppi e individui che hanno formulato una critica
radicale dello sviluppo e interessati a individuare gli elementi di un
progetto alternativo per una politica del doposviluppo” . In quanto
tale “ la decrescita non è realmente un’alternativa concreta, ma è
soprattutto la matrice attraverso cui è possibile un vortice, un
circolo virtuoso di alternative” . Ma nel giro di un paio d’anni, e di
un paio di libri, la decrescita diventa “un’utopia concreta” ,
nel senso – secondo Latouche- assegnatole da Ernst Bloch, che può
essere rappresentata come l’articolazione di otto cambiamenti
interdipendenti che si rafforzano reciprocamente . Un circolo virtuoso
di decrescita serena, conviviale e sostenibile di otto “R”: rivalutare,
riconcettualizzare, ristrutturare,ridistribuire, rilocalizzare,
ridurre, riutilizzare, riciclare. Un breve trattato, quello di
Latouche, che dovrebbe essere anche uno strumento di lavoro per
qualsiasi responsabile del mondoassociativo e politico impegnato in
particolare a livello locale o regionale. Quindi la decrescita è
al tempo stesso utopia concreta e strumento di lavoro per
amministratori locali ecologicamente impegnati. Riformista o
rivoluzionaria ?
Rivoluzionaria perché, attraverso la
“decolonizzazione dell’immaginario”, si tratta di un cambiamento di
cultura, delle strutture del diritto e dei rapporti di produzione. Come
se il capitalismo potesse deperire per un’autoipnosi collettiva. Ma
anche riformista perché : “ il responsabile politico deve fare dei
compromessi con l’esistenza del male.La ricerca del bene comune non è
la ricerca del bene assoluto ma quella del male minore” e di
conseguenza “ qualsiasi politica non può che essere riformista, e deve
esserlo, se non vuole sprofondare nel terrorismo (sic!)” Il
principale avversario della
decrescita è la crescita del Prodotto
interno lordo ( PIL). Ridurre il PIL diventa il grimaldello per battere
l’ideologia della crescita. Sotto questo aspetto ci sono parecchi
equivoci in Latouche e nelle varie associazioni della decrescita. Si
identifica nei fatti il PIL come la quantità di merci prodotte
nel settore manifatturiero e non i valori monetari di tutti i merci e
servizi, pubblici e privati, venduti nel corso di un anno in un dato
paese. Infatti il PIL può diminuire a causa di una devastante crisi
economica-finanziaria senza comportare alcun beneficio ecologico, anzi
peggiorando le condizioni ambientali, oppure il PIL potrebbe aumentare
per un grande piano nazionale di investimenti per un trasporto
pubblico, efficiente, con tariffe basse e che non faccia uso di
combustibili fossili.La questione vera non è l’incremento o la
riduzione del PIL ma la sua composizione : quali merci e
servizi produrre, come produrli e chi decide. Con tali premesse risulta
evidente come l’ampio e contraddittorio spettro di temi presi in
considerazione dalle “teorie” della decrescita abbia generato anche in
Italia una pluralità di approcci politici e organizzativi.
Tra fondamentalismo temperato e liberismo ambientalistaIl
Movimento per la decrescita felice (Mdf) che ha come presidente e
leader indiscusso Maurizio Pallante, già consulente dell’ampiamente
dimenticabile Ministro dell’ l’ambiente Pecoraro Scanio, si è
strutturato come una vera e propria organizzazione con un manifesto, un
programma politico e uno statuto. Rappresenta probabilmente
l’associazione con più aderenti, rivendica la propria estraneità dagli
schieramenti politici sia di destra che sinistra ed è fortemente
connotata da una ideologia da “ecologia profonda” con tratti liberisti.
Secondo il Manifesto del Movimento per la decrescita felice per
aderire al movimento è sufficiente autoprodurre qualsiasi bene
primario: yogurt, pane, succo di frutta, torte, energia termica,
energia elettrica ecc; fornire servizi alla persona, che in genere sono
a pagamento, come l’assistenza dei figli nei primi anni di età, degli
anziani, dei disabili, dei malati, dei morenti. La cura dei propri
figli o l’assistenza degli anziani fatta con amore è qualitativamente
superiore alla cura che può prestare una persona pagata per farlo. Ma
questa attività svolta in cambio di denaro fa crescere il PIL ,
l’altra, donata per amore, no. L’autoproduzione di un bene o lo
svolgimento di un servizio è il primo livello di adesione.Il secondo
grado di adesione è costituito dall’autoproduzione di tutta la filiera
di un bene: dal latte allo yogurt, dal grano al pane, dalla gestione
del bosco al riscaldamento. La decrescita del PIL derivante dallo
sviluppo dell’autoproduzione di beni può comportare un decremento
dell’occupazione, ma non del lavoro, e compensa la diminuzione del
reddito monetario con una minore necessità di acquistare merci. Le
famiglie allargate costituiscono un freno alla crescita della
produzione e del consumo di merci perché sono in grado di realizzare al
loro interno forme significative di autoproduzione e scambi non
mercantili sia di beni che di servizi. Tutta questa
argomentazione si regge sulla differenza, o supposta tale, tra il
concetto di bene e il concetto di merce. Esistono beni che non sono
merci, come tutti i cibi e gli oggetti autoprodotti, oppure i servizi
gratuiti ricevuti o dati a parenti e amici ; esistono merci che non
sono beni, come la benzina sprecata in una coda, la riparazione di un
incidente, i servizi a pagamento.La decrescita consiste nel fare
aumentare i beni e decrescere le merci; in questo modo è possibile
ridurre l’impatto ambientale, diminuendo i rifiuti e le emissioni di
anidride carbonica. Si tratta di ripensare l’attività economica in tre
cerchi concentrici: il primo è quello della autoproduzione (yogurt,
pane, frutta e verdura); il secondo è quello del dono (del tempo, delle
capacità professionali, della disponibilità umana, dell’attenzione,
della solidarietà); il terzo è quello dell’economia in senso
convenzionale. Oggi la terza sfera predomina sulle le prime due, che
devono riappropriarsi del loro spazio, uno spazio che si è ridotto
notevolmente con l’avvento della società industriale. Le società
industriali sono caratterizzate dalla prevalenza della produzione di
merci sulla produzione di beni e il loro PIL cresce in continuazione.
Nelle
comunità agricole la produzione di beni prevale sulla produzione di
merci e la compravendita ha un ruolo complementare, sono realizzate
forme di scambio non mercantili basate sul dono e sulla reciprocità.
Questi propositi del Movimento per la decrescita felice prefigurano una
società dai tratti inquietanti, facendo astrazione dei rapporti di
produzione capitalistici si disciplinano i comportamenti sociali
mediante la reintroduzione di strutture patriarcali, si idealizzano
comunità basate sul dono, si banalizza il concetto di merce
qualificandolo in relazione al PIL e non all’estrazione di plusvalore
mediante lo sfruttamento della forza lavoro nel momento della
produzione. Una certa nostalgia per società del passato, peraltro mai
esistite nei termini descritti, fa da sottofondo. A questo riguardo
basterebbe
citare Jean-Paul Deleage: “ Fin dalla preistoria le attività umane di
predazione e produzione hanno provocato la riduzione generale e la
trasformazione continua degli ecosistemi naturali”. Le attuali tensioni
“ tra le nostre società e la natura hanno dunque un’origine assai
remota sono il risultato di crisi ecologiche cumulative. Nessuna
società è stata ecologicamente innocente”. E’ vero il capitalismo
rappresenta una cesura e un’intensificazione, rispetto alle società del
passato, nella mercificazione dell’ambiente e nella subordinazione
della natura alla produzione. Ciò tuttavia non ci esime da un’approccio
che indaghi le discontinuità, la non linearità delle crisi ecologiche,
il continuo rivoluzionamento del modo di produzione e, parafrasando
Walter Benjamin, si tratta di chiedersi non tanto che posizione occupa
la natura rispetto ai rapporti di produzione di una data epoca, ma
qual’è la sua posizione in essi.
Non va meglio se si analizzano il
programma politico, definito un tentativo di salvezza in extremis
suggerito a tutte le donne e gli uomini di buona volontà, e la
struttura organizzativa del Movimento per la decrescita felice. Accanto
ad una
serie di obiettivi condivisibili, blocco della
cementificazione del territorio, delle grandi opere, riduzione degli
sprechi di energia, riciclaggio dei rifiuti invece che l’incenerimento
si sostiene la necessità di una “ piena liberalizzazione del mercato
dell’energia, perché la concorrenza è la condizione necessaria per
accrescere l’efficienza e perché l’autoproduzione genera nelle ore
vuote delle eccedenze che non possono non essere vendute se non in un
mercato concorrenziale” . La sostituzione degli asili nido con assegni
triennali di genitorialità, fino ad arrivare al grottesco con
l’affermazione che il lavoro fisico del contadino è la più alta
attività possibile per un essere umano e che per i contadini resta in
vigore il codice del commercio del 1882, dello Stato unitario liberale
prefascista, che escludeva dalla commercialità – per antica
consuetudine – gli atti di vendita del prodotto da parte del
proprietario o coltivatore del fondo. Ovviamente c’è anche un
documento degli imprenditori, dei professionisti, degli artigiani per
il Movimento della decrescita felice per favorire “ l’efficacia della
loro attività in termini di riduzione del consumo di risorse e della
produzione di rifiuti a parità di produzione, sia la loro penetrazione
sul mercato” e un elenco che sponsorizza imprese che condividono la
decrescita.
Non manca una classifica dei “comuni virtuosi”
che hanno a cuore la decrescita e poco importa se sono “ ecologicamente
corretti” e nel medesimo tempo varano provvedimenti razzisti e xenofobi
come il comune di Padova. Infine si strizza l’occhio a Beppe Grillo,
che fa la prefazione al programma politico, con l’appoggio ai suoi
referendum
contro la casta politica. La struttura organizzativa
del Movimento, diventato Associazione con l’approvazione dello statuto
nel dicembre 2007, è tipicamente piramidale con un
presidente, un vice-presidente, un consiglio direttivo ( al cui interno
ci sono i responsabili dei gruppi tematici ), circoli territoriali e
un’assemblea generale dei soci. Sono soci ordinari coloro che vengono
accettati come tali su proposta di almeno tre soci fondatori e/o
ordinari. La decisione in
merito all’accettazione di ogni nuovo
socio ordinario è presa con deliberazione a maggioranza del Consiglio
Direttivo, previo esame di un curriculum scritto relativo ai precedenti
impegni svolti dal candidato e previa assunzione, da parte del
candidato, dell’impegno ad assumere un ruolo attivo in un settore di
attività dell’Associazione. Il Collegio dei probiviri ha il compito di
prendere in esame tutte le segnalazioni pervenute, anche al Consiglio
Direttivo, afferenti a
comportamenti dei soci non coerenti con gli
obiettivi dell’Associazione e, più in generale, ogni altro atto o fatto
che provochi delle divergenze tra i componenti dell’Associazione;
proporre al Consiglio Direttivo l’espulsione dei soci.
Uno statuto
quindi non particolarmente democratico se addirittura per aderire si
deve presentare un curriculum scritto e il Collegio dei probiviri
prende in esame atti o fatti che provochino divergenze tra i
componenti.
Siamo di fronte a un “movimento” che tale non è, pare
più la riedizione con aspetti burocratici di un’organizzazione politica
che combina un po’ di fondamentalismo ecologista, alcuni aspetti
liberisti con qualche verniciata di populismo.
Più che una rete un rifugioDiverso
è il caso della Rete per la decrescita serena, pacifica e solidale, che
ha in Mauro Bonaiuti il principale esponente, perché risente
dell’influenza di alcuni settori dei movimenti sociali di questi ultimi
anni.
La scelta delle società occidentali di puntare
unilateralmente sull’accumulazione economica, sulla crescita della
produttività e dei consumi ha finito: “ col dissolvere i legami sociali
e minacciare il collasso degli ecosistemi” . Di fronte alla percezione:
“ dei limiti sociali ed ecologici dello sviluppo, del degrado indotto
dalla mercificazione della vita,della crescente conflittualità
internazionale attorno alle risorse naturali crediamo che, per
imboccare sentieri alternativi, sia necessario rimettere in discussione
il mito fondativo della nostra società, la crescita” E come si mette in
discussione questo mito fondativo? Si tratta di “ riequilibrare
l’ossessione della produzione con la consapevolezza delle necessità di
riproduzione, di rigenerazione, di cura delle persone, delle relazioni,
dei contesti, dell’ambiente” Insomma in ultima analisi le devastazioni
provocate dal modo di produzione capitalistico possono essere
affrontate con la consapevolezza di un riequilibrio.
Ciò non
stupisce perchè già Mauro Bonaiuti , sulla scia dell’elaborazione
dell’economista rumeno-americano Georgescu Roegen,ha impostato la
questione tracciando di fatto una netta separazione tra il sistema
della produzione di merci e del consumo, tra produzione sociale e
natura. La produzione nel suo processo coinvolge la biosfera ( capitale
naturale ), l’insieme degli impianti e delle infrastrutture (capitale
economico), la forza lavoro (intesa come sistema di organizzazione
sociale del lavoro), sistema di conoscenze e valori che entrano nel
processo di produzione (noosfera).
Questi “capitali” o stocks (
come vengono definiti) sono dei sistemi autorganizzati che sono ancora
presenti e riconoscibili al termine del processo produttivo. Anche se
richiedono continui apporti di materia, energia e lavoro per mantenersi
in condizioni di efficienza.Pure l’approccio sistemico a una “teoria
del consumatore” si basa su un modello di quattro livelli. Il primo
stock è quello biofisico, le risorse naturali come l’aria, l’acqua, la
terra, il patrimonio genetico. Il secondo è costituito dalla ricchezza
posseduta dall’unità di consumo (consumatore,famiglia, comunità)
sottoforma di beni durevoli. Il terzo stock sono le strutture sociali o
relazionali rilevanti nella creazione e nel mantenimento del benessere.
E per ultimo il sistema delle conoscenze o dei valori (noosfera).
Ciascun sistema o stock possiede delle soglie e dei livelli di carico
che non possono essere superati, altrimenti si ha un’alterazione
dell’equilibrio tra flussi di merci e riproduzione delle condizioni
ottimali.
La fragilità, per non dire l’infondatezza, di questa
“teoria” dei sistemi autorganizzati o stocks della produzione e del
consumo risulta evidente anche solo a delle verifiche empiriche sulla
natura, sui movimenti, sulla valorizzazione deicapitali. Infatti il
problema non è il riequilibrio tra i vari stocks/capitali. Sostenere
implicitamente che l’economia capitalista funziona come fosse un
ecosistema significa mistificare la realtà e porta decisamente fuori
strada. Non viene considerata la peculiarità della merce forza-lavoro e
la sua duplicità. Il valore della forza-lavoro è determinato dal tempo
di
lavoro necessario alla sua produzione e riproduzione. La forza lavoro,
in quanto attitudine che appartiene agli esseri umani, ha un tempo di
lavoro necessario per la produzione della si risolve nel tempo di
lavoro per la produzione dei propri mezzi di sussistenza; ossia,
il valore della forza-lavoro è il valore dei mezzi di sussistenza
necessari per la conservazione del possessore della forza-lavoro. Però,
la forza-lavoro si attua soltanto nel lavoro cioè nella produzione
sociale. Per la propria riproduzione e valorizzazione attraversa quindi
sia la sfera della produzione che del consumo trasformandone gli
equilibri.
L’economia capitalista, ed anche l’ecologia, è
concepita dagli aderenti della Rete per la decrescita con un sistema
dinamico in grado di tener conto dei propri risultati per modificare le
caratteristiche del sistema stesso ( feedback ) : “ ogni politica che
compensi, mediante opportuni anelli di feedback negativi, i processi
autoaccrescitivi in atto si muove nella giusta direzione”.
Decrescita
come riduzione del peso e della dimensione dei grandi apparati
finanziari, produttivi, dei sistemi di trasporto, di cura, dei media
perché è necessario spostare il baricentro dell’economia dalla scala
globale a una regionale o locale. Una autentica sostenibilità, concetto
che viene sempre lasciato nel vago, è possibile solo a livello locale.
Con quali strumenti ? Una applicazione rigorosa del principio “ chi
inquina paga”, l’introduzione della Tobin Tax come primo passo nella
direzione di una riforma degli assetti finanziari internazionali, la
riforma dell’Onu, del Wto e del Fondo monetario internazionale. In
sostanza un riformismo che ha i connotati di “pappa del cuore” in
un’epoca che presenta margini ridottissimi per qualsiasi riforma.
Accanto
a queste supposte riforme bisogna valorizzare
l’autosostenibilità dei territori, la difesa dei beni comuni e la
diffusione di reti di economia solidale. Tutto ciò può avvenire solo se
a livello economico si passa dalla competitività alla cooperazione. Gli
ambiti di cooperazione fondati sul principio di reciprocità vanno dalle
relazioni neoclaniche (!) delle famiglie allargate africane, alle
imprese del cosiddetto “terzo settore” passando per molteplici forme
ibride. Queste forme di scambio, sottraendo quote crescenti di domanda
dai mercati internazionali a favore dell’economia locale, rappresentano
una sorgente di decrescita, oltre che laboratorio di un’altra economia
e di un’altra società. Rimane, tuttavia, sempre un mistero cosa
si intenda per locale: un comune di tremila abitanti ? La regione
Lombardia? La
città di Los Angeles che ha un PIL maggiore della quasi totalità dei
paesi africani messi insieme?
E
risulta politicamente inefficace, per non dire sconsiderato,
credere nella validità di un processo di progressiva sottrazione
dal mercato di ambiti economici “liberati”, e poi quali soggetti
dovrebbero farsene carico? Non risulta ci sia molta condivisione di
prospettive tra un precario e la cooperativa del cosiddetto terzo
settore dove saltuariamente lavora.
Per Bonaiuti comunque il nuovo
Palazzo d’Inverno è il Municipio ed è auspicabile una “confederazione
di comunità” La riduzione di scala dei grandi apparati economici,
finanziari, istituzionali è reputata necessaria per ridurre
le
disuguaglianze, realizzare forme di produzione ecologicamente
sostenibili, offrire un’opportunità di democrazia in cui le comunità
divengano artefici del proprio destino. La retorica che traspare da
questa autocentratura sul locale, sulle comunità, sui territori
risponde più a un bisogno di senso di una delusa e frammentata
“comunità” politica e associativa dopo il diluvio che ha investito la
sinistra piuttosto che a un progetto politico.
C’è l’illusione che
riducendo la dimensione dei problemi si generino relazioni,
discorsi,opportunità più vere e autentiche. Sembra che il “locale”, i
territori, le comunità “accadano” e costituiscano dei soggetti
autentici invece di essere i luoghi conflittuali, continuamente
attraversati e ridefiniti, della riproduzione sociale del modo di
produzione capitalistico.
Destra e decrescitaLa
decrescita sta facendo adepti anche nella destra radicale. Il fenomeno
in Italia non è ancora particolarmente diffuso e riguarda ristretti
ambiti della destra cosiddetta “non conforme” che si rifà alle
origini “rivoluzionarie” del fascismo ed ai suoi esponenti di
“sinistra”. Non è un fenomeno nuovo.
Negli ultimi anni sono state
declinate a destra ideologie vegetariane, in alcuni casi anche vegane,
animaliste, anticaccia e antispeciste. E non è un caso che Alain de
Benoist , il teorico del razzismo differenzialista , punto di
riferimento di molta destra radicale europea, si sia recentemente
occupato di decrescita . L’ecologismo, sostiene de Benoist, se vuole
combattere ogni forma di devastazione della natura e di fuga in avanti
del “produttivismo” deve operare una: “ rottura radicale con
l’ideologia dei Lumi, ossia l’ideologia della modernità, il cui motore
è stato la credenza nel progresso”. ù
Gli ecologisti: “debbono
perciò guardare in altro modo i pensatori di destra, che – spesso prima
di loro – hanno ugualmente denunciato l’ideologia dei Lumi; beninteso,
gli uomini di destra debbono dal canto loro, guardare con altri occhi
quest’altra sinistra. Ciò implica, dall’una e dall’altra parte, la
presa di coscienza dell’emergere di un panorama ideologico
completamente nuovo, che rende obsolete le vecchie scissioni e ha, come
conseguenza, inevitabili convergenze” .
Il nemico per de Benoist
quando si scaglia contro l’ideologia dei Lumi è solo in parte “la
credenza del progresso”, è soprattutto la Rivoluzione francese. Il
Movimento zero, promosso dal giornalista Massimo Fini che simpatizza
per De Benoist, con il Manifesto dell’antimodernità si oppone al:
“capitalismo e al marxismo, due facce della stessa medaglia, l’
industrialismo”
. Rifiuta la democrazia rappresentativa per una democrazia diretta in
ambienti limitati e controllati ( da chi ?). Ed è favorevole a un
ritorno graduale a forme di autoproduzione e autoconsumo . E’ chiaro il
tentativo diinserirsi nelle difficoltà della destra governativa e nella
crisi della sinistra con discorsi antagonisti e antisistema facendo
leva su una concezione reazionaria della coppia comunità/identità.
La sfida di una sinistra anticapitalista e ecologistaLe
ideologie non sono solo “falsa coscienza” ma anche un fattore di
efficacia materiale nel quadro della riproduzione sociale allargata dei
rapporti di produzione dominanti. Le ideologie hanno un’esistenza
materiale e una funzione pratica attraverso apparati, luoghi, riti,
strutture comportamentali individuali e collettive. Sono condotte
pratiche regolate da codici, discorsi, forme di organizzazione.
Definendo la decrescita in Italia come supermarket dell’ecologia si è
posto il problema dei “valori di scambio” di certe teorie. Le merci in
un supermarket sono esposte in modo tale da “illuminarne” l’utilità e
il bisogno, oscurando il meccanismo di funzionamento dell’intera
struttura.
Così pensiamo sia per la decrescita in Italia. La sfida
consiste nel percorre quei sentieri impervi abbozzati da Marx: più
l’uomo assoggetta a sé la natura, maggiore è il proprio assoggettamento
ad altri uomini e che l’uomo ha sempre: “ di fronte a sé una natura
storica e una storia naturale”.