Pubblichiamo in anteprima un articolo che comparirà sul prossimo numero di ERRE e che è in parte frutto della  relazione e del dibattito nel seminarioche si è tenuto a  inizio estate a Livorno presso la sede di Sinistra critica su Marxismo ed Ecologia

La decrescita in Italia, ovvero il supermarket dell’ecologia
Di Felice Mometti

Non  sempre le ideologie si presentano  esplicitando i loro riferimenti concettuali e la loro struttura profonda. Anzi spesso accade il contrario. Per suscitare interesse,essere performative, conquistare una porzione del “mercato sociale delle idee” debbono celare i loro reali meccanismi di funzionamento. Lo fanno coniugando una serie di affermazioni, spesso sotto forma di artifici retorici,  che si suppongono autoevidenti per il senso comune, che nel caso delle “teorie” sulla decrescita dovrebbe essere quello ecologista. Ciò è possibile a una condizione: navigare sempre al largo dagli scogli dello sfruttamento capitalistico del lavoro vivo e del rapporto tra natura e valorizzazione del capitale.
Definire cosa sia la decrescita non è facile vista la notevole e contraddittoria produzione letteraria degli ultimi anni e , quantomeno nel caso italiano, la scarsa comprensione reciproca tra le varie associazioni, reti, partiti, gruppi informali che a tali “teorie” fanno riferimento.

Serge Latouche riformista o rivoluzionario ? Entrambe le cose.

Tutti comunque in un modo o nell’altro assumono come orientamento principale l’elaborazione di Serge Latouche. Conviene quindi partire da qui. Ed è qui che nascono i primi problemi: “Decrescita è semplicemente uno slogan che raccoglie gruppi e individui che hanno formulato una critica radicale dello sviluppo e interessati a individuare gli elementi di un progetto alternativo per una politica del doposviluppo” . In quanto tale “ la decrescita non è realmente un’alternativa concreta, ma è soprattutto la matrice attraverso cui è possibile un vortice, un circolo virtuoso di alternative” . Ma nel giro di un paio d’anni, e di un paio di libri,  la decrescita diventa “un’utopia concreta” , nel senso – secondo Latouche-  assegnatole da Ernst Bloch, che può essere rappresentata come l’articolazione di otto cambiamenti interdipendenti che si rafforzano reciprocamente . Un circolo virtuoso di decrescita serena, conviviale e sostenibile di otto “R”: rivalutare, riconcettualizzare, ristrutturare,ridistribuire, rilocalizzare, ridurre, riutilizzare, riciclare.  Un breve trattato, quello di Latouche, che dovrebbe essere anche uno strumento di lavoro per qualsiasi responsabile del mondoassociativo e politico impegnato in particolare a livello locale o regionale.  Quindi la decrescita è al tempo stesso utopia concreta e strumento di lavoro per amministratori locali ecologicamente impegnati. Riformista o rivoluzionaria ?
Rivoluzionaria perché, attraverso la “decolonizzazione dell’immaginario”, si tratta di un cambiamento di cultura, delle strutture del diritto e dei rapporti di produzione. Come se il capitalismo potesse deperire per un’autoipnosi collettiva. Ma anche riformista perché : “ il responsabile politico deve fare dei compromessi con l’esistenza del male.La ricerca del bene comune non è la ricerca del bene assoluto ma quella del male minore” e di conseguenza “ qualsiasi politica non può che essere riformista, e deve esserlo, se non vuole sprofondare nel terrorismo (sic!)”  Il principale avversario della
decrescita è la crescita del Prodotto interno lordo ( PIL). Ridurre il PIL diventa il grimaldello per battere l’ideologia della crescita. Sotto questo aspetto ci sono parecchi equivoci in Latouche e nelle varie associazioni della decrescita. Si identifica  nei fatti il PIL come la quantità di merci prodotte nel settore manifatturiero e non i valori monetari di tutti i merci e servizi, pubblici e privati, venduti nel corso di un anno in un dato paese. Infatti il PIL può diminuire a causa di una devastante crisi economica-finanziaria senza comportare alcun beneficio ecologico, anzi peggiorando le condizioni ambientali, oppure il PIL potrebbe aumentare per un grande  piano nazionale di investimenti per un trasporto pubblico, efficiente, con tariffe basse e che non faccia uso di combustibili fossili.La questione vera non è l’incremento o la riduzione del PIL ma  la  sua composizione : quali merci e servizi produrre, come produrli e chi decide. Con tali premesse risulta evidente come l’ampio e contraddittorio spettro di temi presi in considerazione dalle “teorie” della decrescita abbia generato anche in Italia una pluralità di approcci politici e organizzativi.

Tra fondamentalismo temperato e liberismo ambientalista

Il Movimento per la decrescita felice (Mdf) che ha come  presidente e leader indiscusso Maurizio Pallante, già consulente dell’ampiamente dimenticabile Ministro dell’ l’ambiente Pecoraro Scanio, si è strutturato come una vera e propria organizzazione con un manifesto, un programma politico e uno statuto. Rappresenta probabilmente l’associazione con più aderenti, rivendica la propria estraneità dagli schieramenti  politici sia di destra che sinistra ed è fortemente connotata da una ideologia da “ecologia profonda” con tratti liberisti. Secondo il Manifesto del Movimento per la decrescita felice  per aderire al movimento è sufficiente autoprodurre qualsiasi bene primario: yogurt, pane, succo di frutta, torte, energia termica, energia elettrica ecc; fornire servizi alla persona, che in genere sono a pagamento, come l’assistenza dei figli nei primi anni di età, degli anziani, dei disabili, dei malati, dei morenti. La cura dei propri figli o l’assistenza degli anziani fatta con amore è qualitativamente superiore alla cura che può prestare una persona pagata per farlo. Ma questa attività svolta in cambio di denaro fa crescere il PIL , l’altra, donata per amore, no. L’autoproduzione di un bene o lo svolgimento di un servizio è il primo livello di adesione.Il secondo grado di adesione è costituito dall’autoproduzione di tutta la filiera di un bene: dal latte allo yogurt, dal grano al pane, dalla gestione del bosco al riscaldamento. La decrescita del PIL derivante dallo sviluppo dell’autoproduzione di beni può comportare un decremento dell’occupazione, ma non del lavoro, e compensa la diminuzione del reddito monetario con una minore necessità di acquistare merci. Le famiglie allargate costituiscono un freno alla crescita della produzione e del consumo di merci perché sono in grado di realizzare al loro interno forme significative di autoproduzione e scambi non mercantili sia di beni che di servizi.  Tutta questa argomentazione si regge sulla differenza, o supposta tale, tra il concetto di bene e il concetto di merce. Esistono beni che non sono merci, come tutti i cibi e gli oggetti autoprodotti, oppure i servizi gratuiti ricevuti o dati a parenti e amici ; esistono merci che non sono beni, come la benzina sprecata in una coda, la riparazione di un incidente, i servizi a pagamento.La decrescita consiste nel fare aumentare i beni e decrescere le merci; in questo modo è possibile ridurre l’impatto ambientale, diminuendo i rifiuti e le emissioni di anidride carbonica. Si tratta di ripensare l’attività economica in tre cerchi concentrici: il primo è quello della autoproduzione (yogurt, pane, frutta e verdura); il secondo è quello del dono (del tempo, delle capacità professionali, della disponibilità umana, dell’attenzione, della solidarietà); il terzo è quello dell’economia in senso convenzionale. Oggi la terza sfera predomina sulle le prime due, che devono riappropriarsi del loro spazio, uno spazio che si è ridotto notevolmente con l’avvento della società industriale. Le società industriali sono caratterizzate dalla prevalenza della produzione di
merci sulla produzione di beni e il loro PIL cresce in continuazione.
Nelle comunità agricole la produzione di beni prevale sulla produzione di merci e la compravendita ha un ruolo complementare, sono realizzate forme di scambio non mercantili basate sul dono e sulla reciprocità. Questi propositi del Movimento per la decrescita felice prefigurano una società dai tratti inquietanti, facendo astrazione dei rapporti di produzione capitalistici si disciplinano i comportamenti sociali mediante la reintroduzione di strutture patriarcali, si idealizzano comunità basate sul dono, si banalizza il concetto di merce qualificandolo in relazione al PIL e non all’estrazione di plusvalore mediante lo sfruttamento della forza lavoro nel momento della produzione. Una certa nostalgia per società del passato, peraltro mai esistite nei termini descritti, fa da sottofondo. A questo riguardo
basterebbe citare Jean-Paul Deleage: “ Fin dalla preistoria le attività umane di predazione e produzione hanno provocato la riduzione generale e la trasformazione continua degli ecosistemi naturali”. Le attuali tensioni “ tra le nostre società e la natura hanno dunque un’origine assai remota sono il risultato di crisi ecologiche cumulative. Nessuna società è stata ecologicamente innocente”. E’ vero il capitalismo rappresenta una cesura e un’intensificazione, rispetto alle società del passato, nella mercificazione dell’ambiente e nella subordinazione della natura alla produzione. Ciò tuttavia non ci esime da un’approccio che indaghi le discontinuità, la non linearità delle crisi ecologiche, il continuo rivoluzionamento del modo di produzione e, parafrasando Walter Benjamin, si tratta di chiedersi non tanto che posizione occupa la natura rispetto ai rapporti di produzione di una data epoca, ma qual’è la sua posizione in essi.
Non va meglio se si analizzano il programma politico, definito un tentativo di salvezza in extremis suggerito a tutte le donne e gli uomini di buona volontà, e la struttura organizzativa del Movimento per la decrescita felice. Accanto ad una
serie di obiettivi condivisibili, blocco della cementificazione del territorio, delle grandi opere, riduzione degli sprechi di energia, riciclaggio dei rifiuti invece che l’incenerimento si sostiene la necessità di una “ piena liberalizzazione del mercato dell’energia, perché la concorrenza è la condizione necessaria per accrescere l’efficienza e perché l’autoproduzione genera nelle ore vuote delle eccedenze che non possono non essere vendute se non in un mercato concorrenziale” . La sostituzione degli asili nido con assegni triennali di genitorialità,  fino ad arrivare al grottesco con l’affermazione che il lavoro fisico del contadino è la più alta attività possibile per un essere umano e che per i contadini resta in vigore il codice del commercio del 1882, dello Stato unitario liberale prefascista, che escludeva dalla commercialità – per antica consuetudine – gli atti di vendita del prodotto da parte del proprietario o coltivatore del fondo.  Ovviamente c’è anche un documento degli imprenditori, dei professionisti, degli artigiani per il Movimento della decrescita felice per favorire “ l’efficacia della loro attività in termini di riduzione del consumo di risorse e della produzione di rifiuti a parità di produzione, sia la loro penetrazione sul mercato” e un elenco che sponsorizza imprese che condividono la decrescita.  
Non manca una classifica dei “comuni virtuosi” che hanno a cuore la decrescita e poco importa se sono “ ecologicamente corretti” e nel medesimo tempo varano provvedimenti razzisti e xenofobi come il comune di Padova. Infine si strizza l’occhio a Beppe Grillo, che fa la prefazione al programma politico, con l’appoggio ai suoi referendum
contro la casta politica. La struttura organizzativa del Movimento, diventato Associazione con l’approvazione dello statuto  nel dicembre 2007,  è tipicamente piramidale con un presidente, un vice-presidente, un consiglio direttivo ( al cui interno ci sono i responsabili dei gruppi tematici ), circoli territoriali e un’assemblea generale dei soci. Sono soci ordinari coloro che vengono accettati come tali su proposta di almeno tre soci fondatori e/o ordinari. La decisione in
merito all’accettazione di ogni nuovo socio ordinario è presa con deliberazione a maggioranza del Consiglio Direttivo, previo esame di un curriculum scritto relativo ai precedenti impegni svolti dal candidato e previa assunzione, da parte del candidato, dell’impegno ad assumere un ruolo attivo in un settore di attività dell’Associazione. Il Collegio dei probiviri ha il compito di prendere in esame tutte le segnalazioni pervenute, anche al Consiglio Direttivo, afferenti a
comportamenti dei soci non coerenti con gli obiettivi dell’Associazione e, più in generale, ogni altro atto o fatto che provochi delle divergenze tra i componenti dell’Associazione; proporre al Consiglio Direttivo l’espulsione dei soci.
Uno statuto quindi non particolarmente democratico se addirittura per aderire si deve presentare un curriculum scritto e il Collegio dei probiviri prende in esame atti o fatti che provochino divergenze tra i componenti.
Siamo di fronte a un “movimento” che tale non è, pare più la riedizione con aspetti burocratici di un’organizzazione politica che combina un po’ di fondamentalismo ecologista, alcuni  aspetti liberisti con qualche verniciata di populismo.

Più che una rete un rifugio

Diverso è il caso della Rete per la decrescita serena, pacifica e solidale, che ha in Mauro Bonaiuti il principale esponente,  perché risente dell’influenza di alcuni settori dei movimenti sociali di questi ultimi anni.
La scelta delle società occidentali di puntare unilateralmente sull’accumulazione economica, sulla crescita della produttività e dei consumi ha finito: “ col dissolvere i legami sociali e minacciare il collasso degli ecosistemi” . Di fronte alla percezione: “ dei limiti sociali ed ecologici dello sviluppo, del degrado indotto dalla mercificazione della vita,della crescente conflittualità internazionale attorno alle risorse naturali crediamo che, per imboccare sentieri alternativi, sia necessario rimettere in discussione il mito fondativo della nostra società, la crescita” E come si mette in discussione questo mito fondativo? Si tratta di “ riequilibrare l’ossessione della produzione con la consapevolezza delle necessità di riproduzione, di rigenerazione, di cura delle persone, delle relazioni, dei contesti, dell’ambiente” Insomma in ultima analisi le devastazioni provocate dal modo di produzione capitalistico possono essere affrontate con la consapevolezza di un riequilibrio.
Ciò non stupisce perchè già Mauro Bonaiuti , sulla scia dell’elaborazione dell’economista rumeno-americano Georgescu Roegen,ha impostato la questione tracciando di fatto una netta separazione tra il sistema della produzione di merci e del consumo, tra produzione sociale e natura. La produzione nel suo processo coinvolge la biosfera ( capitale naturale ), l’insieme degli impianti e delle infrastrutture (capitale economico), la forza lavoro (intesa come sistema di organizzazione sociale del lavoro), sistema di conoscenze e valori che entrano nel processo di produzione (noosfera).
Questi “capitali” o stocks ( come vengono definiti) sono dei sistemi autorganizzati che sono ancora presenti e riconoscibili al termine del processo produttivo. Anche se richiedono continui apporti di materia, energia e lavoro per mantenersi in condizioni di efficienza.Pure l’approccio sistemico a una “teoria del consumatore” si basa su un modello di quattro livelli. Il primo stock è quello biofisico, le risorse naturali come l’aria, l’acqua, la terra, il patrimonio genetico. Il secondo è costituito dalla ricchezza posseduta dall’unità di consumo (consumatore,famiglia, comunità) sottoforma di beni durevoli. Il terzo stock sono le strutture sociali o relazionali rilevanti nella creazione e nel mantenimento del benessere. E  per ultimo il sistema delle conoscenze o dei valori (noosfera). Ciascun sistema o stock possiede delle soglie e dei livelli di carico che non possono essere superati, altrimenti si ha un’alterazione dell’equilibrio tra flussi di merci e riproduzione delle condizioni ottimali.
La fragilità, per non dire l’infondatezza, di questa “teoria” dei sistemi autorganizzati o stocks della produzione e del consumo risulta evidente anche solo a delle verifiche empiriche sulla natura, sui movimenti, sulla valorizzazione deicapitali. Infatti il problema non è il riequilibrio tra i vari stocks/capitali. Sostenere implicitamente che l’economia capitalista funziona come fosse un ecosistema significa mistificare la realtà e porta decisamente fuori strada. Non viene considerata la peculiarità della merce forza-lavoro e la sua duplicità. Il valore della forza-lavoro è determinato dal tempo
di lavoro necessario alla sua produzione e riproduzione. La forza lavoro, in quanto attitudine che appartiene agli esseri umani, ha un tempo di lavoro necessario per la produzione della  si risolve nel tempo di lavoro per la produzione dei propri mezzi di  sussistenza; ossia, il valore della forza-lavoro è il valore dei mezzi di sussistenza necessari per la conservazione del possessore della forza-lavoro. Però, la forza-lavoro si attua soltanto nel lavoro cioè nella produzione sociale. Per la propria riproduzione e valorizzazione attraversa quindi sia la sfera della produzione che del consumo trasformandone gli equilibri.
L’economia capitalista, ed anche l’ecologia, è concepita dagli aderenti della Rete per la decrescita con un sistema dinamico in grado di tener conto dei propri risultati per modificare le caratteristiche del sistema stesso ( feedback ) : “ ogni politica che compensi, mediante opportuni anelli di feedback negativi, i processi autoaccrescitivi in atto si muove nella giusta direzione”.
Decrescita come riduzione del peso e della dimensione dei grandi apparati finanziari, produttivi, dei sistemi di trasporto, di cura, dei media perché è necessario spostare il baricentro dell’economia dalla scala globale a una regionale o locale. Una autentica sostenibilità, concetto che viene sempre lasciato nel vago, è possibile solo a livello locale. Con quali strumenti ? Una applicazione rigorosa del principio “ chi inquina paga”, l’introduzione della Tobin Tax come primo passo nella direzione di una riforma degli assetti finanziari internazionali, la riforma dell’Onu, del Wto e del Fondo monetario internazionale. In sostanza un riformismo che ha i connotati di “pappa del cuore” in un’epoca che presenta margini ridottissimi per qualsiasi riforma.
Accanto a  queste supposte riforme  bisogna valorizzare l’autosostenibilità dei territori, la difesa dei beni comuni e la diffusione di reti di economia solidale. Tutto ciò può avvenire solo se a livello economico si passa dalla competitività alla cooperazione. Gli ambiti di cooperazione fondati sul principio di reciprocità vanno dalle relazioni neoclaniche (!) delle famiglie allargate africane, alle imprese del cosiddetto “terzo settore” passando per molteplici forme ibride. Queste forme di scambio, sottraendo quote crescenti di domanda dai mercati internazionali a favore dell’economia locale, rappresentano una sorgente di decrescita, oltre che laboratorio di un’altra economia e di un’altra società.  Rimane, tuttavia, sempre un mistero cosa si intenda per locale: un comune di tremila abitanti ? La regione Lombardia? La
città di Los Angeles che ha un PIL maggiore della quasi totalità dei
paesi africani messi insieme?
E risulta politicamente inefficace, per non dire sconsiderato,  credere nella validità di un processo di progressiva sottrazione  dal mercato di ambiti economici “liberati”, e poi quali soggetti dovrebbero farsene carico? Non risulta ci sia molta condivisione di prospettive tra un precario e la cooperativa del cosiddetto terzo settore dove saltuariamente lavora.
Per Bonaiuti comunque il nuovo Palazzo d’Inverno è il Municipio ed è auspicabile una “confederazione di comunità”  La riduzione di scala dei grandi apparati economici, finanziari, istituzionali è reputata necessaria per ridurre
le disuguaglianze, realizzare forme di produzione ecologicamente sostenibili, offrire un’opportunità di democrazia in cui le comunità divengano artefici del proprio destino. La retorica che traspare da questa autocentratura sul locale, sulle comunità, sui territori risponde più a un bisogno di senso di una delusa e frammentata “comunità” politica e associativa dopo il diluvio che ha investito la sinistra piuttosto che a un progetto politico.
C’è l’illusione che riducendo la dimensione dei problemi si generino relazioni, discorsi,opportunità più vere e autentiche. Sembra che il “locale”, i territori, le comunità “accadano” e costituiscano dei soggetti autentici invece di essere i luoghi conflittuali, continuamente attraversati e ridefiniti,  della riproduzione sociale del modo di produzione capitalistico.

Destra e decrescita

La decrescita sta facendo adepti anche nella destra radicale. Il fenomeno in Italia non è ancora particolarmente diffuso e riguarda ristretti ambiti  della destra cosiddetta “non conforme” che si rifà alle origini “rivoluzionarie” del fascismo ed ai suoi esponenti di “sinistra”. Non è un fenomeno nuovo.
Negli ultimi anni sono state declinate a destra ideologie vegetariane, in alcuni casi anche vegane, animaliste, anticaccia e antispeciste. E non è un caso che Alain de Benoist , il teorico del razzismo differenzialista , punto di riferimento di molta destra radicale europea, si sia recentemente occupato di decrescita . L’ecologismo, sostiene de Benoist, se vuole combattere ogni forma di devastazione della natura e di fuga in avanti del “produttivismo” deve operare una: “ rottura radicale con l’ideologia dei Lumi, ossia l’ideologia della modernità, il cui motore è stato la credenza nel progresso”. ù
Gli ecologisti: “debbono perciò guardare in altro modo i pensatori di destra, che – spesso prima di loro – hanno ugualmente denunciato l’ideologia dei Lumi; beninteso, gli uomini di destra debbono dal canto loro, guardare con altri occhi quest’altra sinistra. Ciò implica, dall’una e dall’altra parte, la presa di coscienza dell’emergere di un panorama ideologico completamente nuovo, che rende obsolete le vecchie scissioni e ha, come conseguenza, inevitabili convergenze” .
Il nemico per de Benoist quando si scaglia contro l’ideologia dei Lumi è solo in parte “la credenza del progresso”, è soprattutto la Rivoluzione francese. Il Movimento zero, promosso dal giornalista Massimo Fini che simpatizza per De Benoist, con il Manifesto dell’antimodernità si oppone al: “capitalismo e al marxismo, due facce della stessa medaglia, l’
industrialismo” . Rifiuta la democrazia rappresentativa per una democrazia diretta in ambienti limitati e controllati ( da chi ?). Ed è favorevole a un ritorno graduale a forme di autoproduzione e autoconsumo . E’ chiaro il tentativo diinserirsi nelle difficoltà della destra governativa e nella crisi della sinistra con discorsi antagonisti e antisistema facendo leva su una concezione reazionaria della coppia comunità/identità.

La sfida di una sinistra anticapitalista e ecologista

Le ideologie non sono solo “falsa coscienza” ma anche un fattore di efficacia materiale nel quadro della riproduzione sociale allargata dei rapporti di produzione dominanti. Le ideologie hanno un’esistenza materiale e una funzione pratica attraverso apparati, luoghi, riti, strutture comportamentali individuali e collettive. Sono condotte pratiche regolate da codici, discorsi, forme di organizzazione. Definendo la decrescita in Italia come supermarket dell’ecologia si è posto il problema dei “valori di scambio” di certe teorie. Le merci in un supermarket sono esposte in modo tale da “illuminarne” l’utilità e il bisogno, oscurando il meccanismo di funzionamento dell’intera struttura.
Così pensiamo sia per la decrescita in Italia. La sfida consiste nel percorre quei sentieri impervi abbozzati da Marx: più l’uomo assoggetta a sé la natura, maggiore è il proprio assoggettamento ad altri uomini e che l’uomo ha sempre: “ di fronte a sé una natura storica e una storia naturale”.



Felice Mometti


 
 
  Serge Latouche, La scommessa
della decrescita, Feltrinelli, Milano 2007, p. 12Ivi p.95
  Ernst Bloch l’utopia concreta non la concepisce sicuramente come l’
interdipendenza di un  certo numero di cambiamenti, designa invece: “
una realtà oggettiva e reale. Rappresenta un principio di lotta.
Rimanda a quanto del nuovo è rimasto ancora inesplorato. Dal punto di
vista storico, è una forza sociale che svolge il suo ruolo anche quando
non è sempre riconosciuta come tale “ in Ernst Bloch, Marxismo e
utopia, Editori Riuniti, Roma, 1984, p. 141
  Serge Latouche Breve
trattato sulla decrescita serena, Bollati Boringhieri, Torino 2008, pp.
42-44, Ivi p.8,Ivi p. 82
  Maurizio Pallante, La decrescita felice,
Editori Riuniti, Roma 2005, pp. 17- 21, Ivi p.24, Ivi p. 98
  Jean-Paul Deleage Storia dell’ecologia, Cuen, Napoli  1994, p.254
  Maurizio Pallante (a cura di), Un programma politico per la decrescita,
Edizioni per la decrescita felice, Roma 2008, p. 42 Ivi p.79
 
vedi  
www.decrescitafelice.it
www.comunivirtuosi.org
  Statuto Associazione “Movimento per la decrescita felice” in
www.decrescitafelice.it
   Per un manifesto della Rete italiana per la
decrescita, in
www.decrescita.it
  ibidem
  ibidem
  Mauro Bonaiuti ( a cura di), Obiettivo decrescita, Emi, Bologna 2005 pp. 27-56
  Qui Bonaiuti per noosfera probabilmente intende sia la sfera del pensiero
umano che una forma di coscienza collettiva.
Sul concetto di biosfera si veda Jean-Paul Deleage op.cit ,pp. 197-221
  Karl Marx Il Capitale - Libro primo, Editori Riuniti, Roma 1980, pp. 199-209
  Mauro Bonaiuti, Decrescita e politica. Per una società autonoma, equa e sostenibile, in
www.decrescita.it
  ibidem
  ibidem
  Non si sostiene la superiorità di
alcune “razze” o popoli rispetto ad altri ma la necessità identitaria
delle frontiere, l’incompatibilità dei generi di vita e delle
tradizioni, l’irriducibilità delle culture.
 Alain de Benoist Comunità e decrescita, Arianna Editrice,Casalecchio 2006
  Alain de Benoist op.cit, p.154 In
www.movimentozero.org
  Ibidem
  Karl Marx L’ideologia tedesca, Editori Riuniti, Roma 1972, p.16