Post-scriptum di Gilbert Achcar
1. Come
la gran parte dei commentatori seri hanno sottolineato, l’accordo di
Doha non è una soluzione-miracolo per il nuovo conflitto libanese, ma
nel migliore dei casi un accordo che apre un periodo provvisorio
durante il quale i due campi coinvolti continueranno lo scontro
con altri mezzi, con la possibilità che si giunga a nuove ondate di
scontri armati in un futuro più o meno prossimo. La guerra
intermittente dei quindici anni (1975-1990) in Libano è stata
costellata di accordi di questo tipo. C’è da temere fortemente che
questo caso sia simile ai precedenti, a meno che la nuova dinamica di
guerra civile che si è aperta venga stroncata sul nascere dalle
trattative regionali/internazionali. La possibilità di un cambiamento
della politica mediorientale di Washington, in seguito alle prossime
elezioni americane, è d’altronde uno dei fattori principali che
sottendono alla tregua di Doha.
2. L’accordo
di Doha non è altro che un nuovo compromesso sulla ripartizione delle
cariche istituzionali tra forze politico-confessionali socialmente
conservatrici – essenzialmente tra musulmani sciiti e sunniti, essendo
i cristiani libanesi divisi nei due campi. La nuova-vecchia legge
elettorale, tornando a una suddivisione delle circoscrizioni elettorali
più ridotta, è tale da rafforzare la dinamica confessionale che in
questi ultimi anni in Libano ha avuto nuovo impulso. Essa è agli
antipodi della rivendicazione della sinistra libanese di elezioni
secondo il criterio proporzionale sulla base di una circoscrizione
unica, che miri a favorire le delimitazioni politiche e le forze
multiconfessionali.
3. La
maggioranza parlamentare, alleata di Riyad e di Washington, ha
accettato la principale richiesta dell’opposizione – il diritto di veto
in seno al governo – dopo che l’opposizione ha infine imposto sul
terreno, con le armi, questo diritto di veto che la sua mobilitazione
pacifica che dura fin dal dicembre 2006 non è riuscita a ottenere. La
maggioranza parlamentare a stimato che, visto che non resta che un anno
prima delle prossime elezioni parlamentari, un governo provvisorio
consensuale era una cosa accettabile, in cambio della garanzia
dell’elezione da parte dell’attuale Parlamento, e per sei anni, di un
presidente della Repubblica ad essa gradito, il comandante in capo
dell’esercito libanese Michel Suleiman. Ciò è tanto più importante
perché l’attuale maggioranza non ha alcuna certezza di restarlo dopo le
elezioni parlamentari previste per il 2009. In questo, senso un
perdente importante di quest’accordo è il generale Michel Aoun, la cui
ambizione maggiore era di arrivare alla presidenza e che, a questo
scopo, aveva guidato un ruolo chiave nel bloccare l’elezione di
Suleiman dopo l’accordo raggiunto fra Washington e Damasco sul suo nome
alla fine del novembre 2007
4. L’accordo
di Doha è stato raggiunto dopo intense trattative tra Washington e
Riyad, da una parte, e Damasco e Tehran, dall’altra. L’Emirato del
Qatar – che accoglie sul suo territorio il principale centro di comando
delle forze americane nella regione (precedentemente installato nel
regno saudita) e intrattiene relazioni cordiali con lo Stato di
Israele, pur intrattenendo relazioni altre tanto cordiali con Damasco,
Tehran e con Hezbollah libanese – era il più indicato per questa
mediazione. La rivelazione, lo stesso giorno della firma degli accordi
di Doha, di negoziati in corso tra il governo Olmert e il governo
siriano mi sembra essere una conferma della conclusione dell’intervista
del 13 maggio.
Gilbert Achcar – Londra 22 maggio 2008