In occasione della giornata contro la violenza di genere, ecco un’intervista alla compagna Mimunt Hamido, femminista d’origine marocchina. In essa si polemizza anche per la scelta di Podemos di presentare alle elezioni europee una “convertita” all’islam che porta il velo. Una scelta, a mio avviso sbagliata, che già penalizzò i nostri compagni del NPA 8 anni fa, alle elezioni amministrative, quando decisero di presentare una compagna che si autodefiniva “musulmana e marxista”, e che portava il velo in tutte le interviste televisive. Risultato: rispetto all’anno prima l’NPA dimezzava i suoi voti e, ciò che più conta, perdeva (giustamente, a mio avviso) i due terzi dei voti femminili ottenuti alle europee. Molto probabilmente il calo delle elettrici non era dovuto solo alla sciagurata scelta di Avignone: ma l’aver trascurato il sano ripudio della gente di sinistra francese per ogni simbolo di oscurantismo religioso ha sicuramente avuto la sua parte.
FG
Due settimane fa, una lettera aperta a Podemos, criticava la decisone del partito di proporre alle elezioni europee Nora Baños, una donna musulmana velata. L’autrice è Mimunt Hamido, attivista d’origine musulmana e melillense (di Melilla). Si definisce come “mora*, amazigh (berbera), magrebina, laica e musulmana di nascita” e sta creando una rete di donne libere di origine magrebina in Spagna, alle quali dà voce nel blog “No Nos Taparán” (Non ci copriranno). Membro della Junta Directiva de la Asociación MediterráneoSur, attualmente dà lezioni di cucina mediterránea a Istanbul. Parliamo di sinistra, islam e femminismo con questa donna senza veli sulla lingua.
D. Si può lottare per la libertà di
scelta proibendo degli indumenti in Europa?
R. Non sono d’accordo nel proibire il hijab. Ciò produce solo che certi
gruppi si rifugino nel “sono minoranza, mi state asfissiando” e quindi
facciano apologia. Sono però d’accordo nel vietarlo nelle scuole e nei
luoghi ufficiali, dove il messaggio che lancia il velo è contrario
all’uguaglianza e al laicismo.
D. Di questo parli nel tuo articolo su Nora Baños, candidata di
Podemos al Parlamento Europeo e velata, che ha sollevato un polverone
impressionante. Perché hai deciso di criticarla?
R. Più che Nora Baños critico Podemos. Vogliono che le minoranze siano
presenti e mi sta bene, applaudo, però dev’essere una donna velata? Con
tutto quello che rappresenta questo velo qui e nel mondo musulmano?
Podemos è un partito che ho votato poiché erano l’unica speranza che
restava alla gente di sinistra. E’ stata una delusione vedere che segue
gli stessi passi della sinistra europea. Guarda com’è ridotta l’Europa: la
destra avanza senza freno per errori di calcolo come questi.
D. Che messaggio politico manda il velo di Nora Baños?
R. Nora Baños dà l’immagine di una musulmana praticante di un ramo ben
preciso di questa religione, che è la corrente fondamentalista moderna.
Questa è la prima cosa che dice il suo velo. Se la sinistra ha bisogno di
simboli religiosi per guadagnare voti siamo messi davvero male.
D. Che opinione hai delle occidentali che si convertono all’islam e
che diventano attiviste pro-velo e femministe?
R. (Ride rumorosamente) Le convertite? La fede è qualcosa di personale,
ciascuna può pregare il dio che più le piace, però ho qualcosa contro le
convertite Quando iniziò la pazzia delle conversioni pensai “Perché
smettere d’essere cristiane e convertirsi all’islam?” Il dio cristiano è
lo stesso di quello musulmano. Arrivai alla conclusione che l’esotismo o
l’amore le aveva convinte. Pensai anche che le convertite potessero
portare un po’ d’aria fresca a una religione che ci stava asfissiando.
Quanto mi sbagliavo!
D. Non la portarono?
R. Dice un proverbio che “non si può essere più papisti del papa”. Invece
sì, si può! Perché loro lo sono. Per quello che vogliono, certo. Ci sono
convertite molto mediatiche che, mettendosi un velo, credono di essere la
quintessenza della modernità. Una era in copertina di Interviù, però lei
si mette e si toglie il velo quando ne ha voglia, le norme non contano
molto per le convertite. Ora vogliono revisionare il Corano, vogliono
un’interpretazione su misura, non pensano che è la società che cambia e
lascia indietro dogmi che sono impossibili da osservare in una società
democratica ed egualitaria.
D. Il velo ha distinti significati,
dipendendo da chi lo porti?
R. L’esperienza è personale, però il velo ha un senso politico
chiarissimo. Travestirlo da moda o da libera scelta, e persino da
indumento femminista e che dà potere è una pazzia. Molto pericoloso per
noialtre. Sono riusciti ad ottenere che le giovani musulmane credano che
sia un obbligo mettersi un simbolo identitario e sessista per sentirsi
parte di qualcosa. Dobbiamo chiederci in cosa ci siamo sbagliati per far
sì che una ragazza di 20 anni nata in Spagna creda di doversi mettere un
simbolo patriarcale che la distingua dalle altre, che confonde identità
con ideologia e addirittura che creda che questo simbolo le dia potere..
D. Cos’è il “femminismo islamico”?
R. Un gruppo di convertite a Barcellona inventò quello che ora chiamano
così. Per me è molto pericoloso mettere aggettivi religiosi al femminismo.
Puoi essere credente e femminista, però non puoi osservare i dogmi
religiosi ed essere femminista. Una femminista islamica ti dirà che il
Corano è ugualitario però mente spudoratamente, perché dimentica di dire
che le donne nell’islam ereditano la metà di un uomo e che la loro parola
vale la metà di quella di un uomo, ecc. Ciò è opposto al femminismo. A me
hanno raccontato sciocchezze come “il niqab è comodissimo e fresco in
estate”, che Dubai è il paese più libero al mondo perché ci sono spiagge
per sole donne dove puoi fare il bagno in burkini…
D. Così hai avuto scontri con loro?
R. Sono aggressive. Dicono che chi rifiuta il velo è una “colonialista
bianca eurocentrista, una rinnegata complessata o un’islamofoba razzista.
A me? Che sono mora*, donne che prima di essere musulmane erano atee o
cristiane, spagnole che dicono di essere femministe. Creano workshop per
convincere le ragazze che il velo dà potere, di come è bello essere parte
dell’islam visibile.
D. E’ facile per loro convertirsi all’islam?
R.E’ molto facile farsi musulmano. Reciti la shahada, “Laa ilaaha
il-la Allah; Muhammadun-rasul ullah” e hop! Già sei una “sorella” in più
della comunità, vedi Sinead O’Connor per esempio. Però qui c’è quello che
le convertite non dicono mai: è facile farsi musulmano in Europa, però è
impossibile smettere di esserlo per un musulmano “nato” in molti paesi
islamici. Curioso che le convertite non aprano bocca su questo
D. E’ triste che le
attiviste laiched’origine islamica, come Wassyla Tamzali, siano ignorate
dalla sinistra o siano direttamente attaccate. La somala Hirsi Ali fu
espulsa verso la destra olandese, dove le sue critiche furibonde
all’islam furono accolte con piacere. Stiamo perdendo le migliori
influenze in omaggio ad un’idea sbagliata di rispetto verso il
“diverso”?
R. La sinistra ha lasciato che un discorso che avrebbe dovuto essere il
suo fosse “espropriato” dalla destra. La destra ora lo usa in senso
xenofobo. Non avremmo dovuto permetterlo. Se parliamo delle famose “linee
rosse” che non si devono oltrepassare, la sinistra non è neanche riuscita
a disegnarle, e da qui questo caos di scontri, malintesi e confusione. Le
grandi pensatrici del femminismo arabo come Wassyla Tamzali vengono
annullate e ridicolizzate dal “femminismo islamico”, che spesso viene
applaudito dalle femministe di qui. Ho visto come qualche “femminista”
islamica ha chiamato traditrice Mona Eltahawy, una donna che ha
sofferto torture e stupri in Egitto.
“Le femministe musulmane rischiano la vita per ottenere l’opposto di ciò
che vogliono le femministe islamiche di qui”. E’ desolante e terribile che
ciò accada in Europa. E poi parlano di eurocentrismo e si sentono pure
comode.
D. Ultimamente sembra che far parte di una certa identità
collettiva ti dia il permesso di parlare di certi temi, e in fatto di
non appartenervi ti neghi questo permesso. Ti disturba quando tentano di
parlare in tuo nome?
R. Sono donna, mora*, femminista, laica e di sinistra. Non mi piace che
parli in mio nome il femminismo islamico; mette nello stesso sacco tutte
le musulmane, tutte le magrebine e non rappresenta la gran maggioranza
delle musulmane che sono per il laicismo. L’islam politico, inteso come
norma sociale, non è compatibile con il femminismo. L’islam è un’ideologia
sessista che separa uomini e donne.
D. Pensi che esista islamofobia in Spagna?
R. Non parliamo di cristianofobia e il cristianesimo si critica
apertamente, però se critichiamo l’islam subito ci danno degli islamofobi.
Dicono alcuni che bisogna proteggere le minoranze e non capisco, i
musulmani nel mondo sono una minoranza? Como essere critica con la mia
stessa religione se questa parola mi tappa la bocca? E’ una parola
capziosa, un termine creato con intelligenza, copiato dagli israeliani.
Loro hanno la parola magica: antisemita! Noi musulmani non siamo da meno:
islamofobo!
D. Però qui i musulmani sono una minoranza, e d’origine immigrante.
Percepisci xenofobia qui?
R. Ovviamente si percepisce, non si può ignorare che l’ondata di attentati
ha danneggiato gravemente i musulmani europei. Separare la fede dalla
politica è molto difficile nell’islam, però si piò fare. La Tunisia ci sta
provando, la Turchia è un paese laico. L’errore che si commette in Europa
è pensare che i musulmani non possano avanzare e lasciar perdere dogmi che
li danneggiano. La sinistra europea giustifical’ingiustificabile
attaccandosi al fatto che “è la loro cultura”. Bisogna proteggere le
minoranze, però non cedere davanti a simboli e costumi chiamati
“culturali” che attentano contro la libertà e i diritti umani. La Spagna
si abituerà a persone che si chiamano Mimunt, Zoubida o Rachid. Non mi
sono mai scandalizzata perché non sapevano pronunciare il mio nome, perché
non so pronunciare bene Arnold Schwarzenegger e non c’è problema.
D. Qual è la tua percezione del razzismo?
R. Razzismo l’ho sofferto tutta la vita, per il nome, i capelli, la
religione, la pelle scura e contro ciò lottiamo ogni giorno. A volte era
razzismo “duro”, altre volte fascinazione per “l’esotico”, però oggi
abbiamo meccanismi per lottare e lo facciamo. Dovremo farlo senza
consentire a nessuno di imporci dogmi religiosi o politici chiamandoli
“cultura”.