Egitto: il potere e la ricchezza al popolo
Socialisti Rivoluzionari Egiziani
28 gennaio 2012
Un anno fa, il 25 gennaio, ebbe inizio la rivoluzione egiziana con
proteste contro la dittatura di Hosni Mubarak appoggiata dagli Stati
Uniti. Diciotto giorni dopo, Mubarak fu rovesciato, ponendo fine a più
di tre decenni di potere.
Da allora il paese è stato governato da un consiglio militare che
detiene l’autorità suprema, presumibilmente sino a quando il parlamento
recentemente eletto scriverà una nuova costituzione. Ma molti
egiziani si sentono frustrati dal fatto che le condizioni di vita non
sono migliorate dalla caduta di Mubarak. In più, i generali si sono
sentiti incoraggiati a praticare una repressione crescente e ora
dispongono di collaboratori nelle organizzazioni che si opposero a
Mubarak, Fratellanza Mussulmana compresa.
Nel primo anniversario della rivoluzione, i Socialisti Rivoluzionari
Egiziani hanno diffuso una dichiarazione a proposito delle sfide in
corso che affronta il movimento rivoluzionario egiziano.
In un articolo scritto prima delle recenti elezioni parlamentari
abbiamo proposto che ci sono tre forze in competizione tra loro per
decidere il destino della rivoluzione egiziana.
La prima è la controrivoluzione, che vuole conservare il vecchio
regime, con tutti i suoi poteri, sotto un velo di cambiamenti
superficiali. Il consiglio militare dominante rappresenta la
controrivoluzione, così come i residuati del vecchio regime all’interno
delle istituzioni dello stato. Dietro a loro stanno il mondo dei
grandi affari (le mille famiglie ricche dell’Egitto), il governo USA,
l’entità sionista e il regime saudita.
La seconda forza è composta da partiti politici e movimenti riformisti
che si sono opposti al regime di Mubarak e sono radicati principalmente
nella classe media. A capo di tali forze vi è la Fratellanza Mussulmana
e il suo partito Libertà e Giustizia. Hanno interesse a
condividere potere e ricchezza con il vecchio regime senza operare
cambiamenti fondamentali o radicali alle sue politiche economiche e
sociali o disturbare i poteri forti e le affiliazioni internazionali.
Infine abbiamo le forze per approfondire e radicalizzare la rivoluzione
al livello della democrazia politica e a quello socio-economico.
Queste forze hanno interesse al completo sradicamento del vecchio
regime, a capo del quale sta il consiglio militare, e a ripulire
completamente le istituzioni statali e a redistribuire il potere e la
ricchezza in Egitto alla vasta maggioranza degli egiziani: gli operai,
i contadini e i poveri.
Qual è l’equilibrio di potere tra queste tre forze dopo le elezioni
parlamentari, mentre entriamo nel secondo anno della rivoluzione
egiziana?
—
In primo luogo, come ci si aspettava, il movimento islamista
riformista, guidato dalla Fratellanza Mussulmana, ha conseguito una
schiacciante vittoria alle elezioni parlamentari. Un ampio
segmento delle masse egiziane ha votato alle elezioni perché la
rivoluzione ha dato loro la fiducia che, per la prima volta nella
loro vita, i loro voti avrebbero contato e non sarebbero stati
manipolati. A ciò si accompagna l’illusione riguardo alla
democrazia parlamentare e alla sua capacità di soddisfare le richieste
della rivoluzione di giustizia sociale, libertà e dignità.
In secondo luogo, l’attuale rapporto di forze tra i riformisti
islamisti e la controrivoluzione è delicatamente e pericolosamente
orientato, da un lato, al desiderio della Fratellanza Mussulmana di
usare il proprio vantaggio in parlamento per esercitare il potere reale
a spese dei poteri forti del vecchio regime e, dall’altro, al suo
desiderio di mantenere la stabilità mediante accordi con il consiglio
militare e i residui del vecchio regime.
Questo per due ragioni: la prima è che la Fratellanza teme un colpo di
stato del consiglio militare che potrebbe annullare il risultato
elettorale (ripetendo l’esperienza dell’Algeria) o un colpo di stato
dell’intero esercito per ripristinare il vecchio regime. La
seconda, è la paura che ampi segmenti delle masse abbiano spezzato i
legami con il riformismo e stiano minacciando nuove sollevazioni
rivoluzionarie che potrebbero sconvolgere il delicato equilibrio
tra la Fratellanza Mussulmana e il consiglio militare, con tutti i
pericoli che ciò porrebbe ad entrambe le parti.
In questa congiuntura critica è degno di nota che la Fratellanza sia
disponibile a offrire grandi concessioni e garanzie al consiglio
militare al fine di conservare i risultati elettorali, anche se
essi sono a oggi solo superficiali. Così la Fratellanza ha
accettato la prosecuzione del governo Ganzouri e ha dato garanzie di
un’amnistia a favore degli alti ufficiali dell’esercito, senza che
siano poste domande legali a proposito dei massacri degli ultimi pochi
mesi.
Di fatto le garanzie offerte dalla dirigenza della Fratellanza e dal
suo vittorioso partito elettorale non sono limitate al consiglio
militare ma comprendono promesse alla classe dei grandi imprenditori di
incoraggiare gli investimenti e proseguire le politiche neoliberali del
vecchio regime, così come garanzie all’entità sionista e al governo
statunitense di onorare gli Accordi di Camp David e di continuare
l’alleanza strategica con gli Stati Uniti. La Fratellanza si è
dichiarata persino d’accordo su negoziati con il Fondo Monetario
Internazionale esattamente alle stesse condizioni umilianti del vecchio
regime.
Forse l’immagine che meglio trasmette questo rapporto è il ritratto del
generale di corpo d’armata Sami Anan, con le mani macchiate del sangue
di centinaia di martiri e di migliaia di feriti, in uno storico
abbraccio con Muhammad Mursi e Saas al-Qahtani della Fratellanza
Mussulmana, che dimostra com il timore di entrambe le parti nei
confronti della terza forza (le masse che hanno interesse ad
approfondire la rivoluzione a livello politico e sociale) sia molto
superiore alle loro differenze su come dividersi il bottino politico.
Ma perché hanno paura? Non è questo il momento di celebrare il
matrimonio tra la democrazia e il trasferimento pacifico del
potere come è accaduto in Tunisia? Qui dobbiamo dire che l’Egitto non è
la Tunisia. Ciò è dovuto a una quantità di ragioni e
principalmente alla crisi economica. Nessuno dei successivi governi che
ha detenuto il potere dopo la caduta di Mubarak è stato in grado di
offrire nulla di tangibile alle masse; la situazione è invece
peggiorata di giorno in giorno.
Le riserve in valuta estera si stanno rapidamente prosciugando, scese
da 36 miliardi di dollari a 15 miliardi nel primo anno della
rivoluzione. L’inflazione cresce in assenza di un qualsiasi meccanismo
di controllo dei prezzi in aumento. La disoccupazione sale in
continuazione e nessuno dei governi successivi ha proposto di aumentare
gli stanziamenti per programmi abitativi, di istruzione, salute o
occupazione giovanile. Ne sono stati attuati veri aumenti dei salari o
un qualsiasi miglioramento dei servizi pubblici per la maggioranza
delle masse egiziane in lotta.
Tutto ciò sta avvenendo nel contesto di una grave crisi del capitalismo
globale che, a sua volta, ha ridotto il reddito del capitalismo
egiziano da fonti quali il turismo, il Canale di Suez e gli
investimenti stranieri. Come risultato di questa continua
dedizione al neoliberalismo, i governi militari islamisti in arrivo
saranno governi di austerità che non offriranno altro che ulteriore
povertà, tagli di posti di lavoro, disoccupazione e la scomparsa dei
servizi pubblici per la massa della popolazione egiziana.
E’ possibile che saranno anche più brutali di quelli del regime
precedente. Ciò significa che la luna di miele tra le masse e i
partiti riformisti islamisti che esse hanno eletto, nella speranze che
servissero i loro interessi e migliorassero il livello di vita, sarà
breve. Denuncerà rapidamente l’incapacità del parlamento in
generale, e della Fratellanza in particolare, di risolvere i problemi
delle masse e di offrire un’alternativa genuina al vecchio regime e a
tutta la sua violenza.
Abbiamo un parlamento eletto che è stato spogliato dei suoi poteri e
lasciato impotente. Le forze politiche dominanti in parlamento solo
alleate con il consiglio militare e con i resti del vecchio regime. Sia
internamente sia esternamente stanno adottando le stesse politiche e
misure economiche del vecchio regime.
Il nuovo parlamento e il consiglio militare produrranno soltanto
governi di austerità capitalista ostili ai lavoratori, ai contadini e
ai poveri. Come i loro predecessori, proteggeranno gli interessi dei
grandi affari e delle imprese straniere e, soprattutto, resteranno
servi fedeli dei padroni del vecchio regime a Washington, Tel Aviv e
Riyadh.
—–
La prossima fase della rivoluzione egiziana, che comincerà il 25
gennaio 012 non segnerà soltanto l’inizio della sconfitta della
controrivoluzione e dei suoi violenti tentativi di far risorgere il
passato che il popolo egiziano ha schiacciato sotto i propri piedi, ma
anche l’inizio di una battaglia contro le forze riformiste e le
illusioni parlamentari.
Sarà una lotta per collegare l’approfondimento della rivoluzione
democratica (trascendendo un regime parlamentare formale con poteri
limitati) al progetto di ridistribuzione della ricchezza (attraverso il
rovesciamento del monopolio economico dell’esercito e delle mille
famiglie egiziane più ricche) e alla costruzione di un regime nuovo che
rappresenti gli interessi dei lavoratori e contadini egiziani e sia al
loro servizio.
Questo non significa, naturalmente, che le forze rivoluzionarie possano
permettersi di ignorare o di non prendere una posizione chiara su temi
quali il trasferimento del potere dalle mani dell’esercito ai
civili. Rimane comunque la questione di a chi debba essere
trasferito il potere, anche se per un periodo transitorio. A un
consiglio presidenziale civile, come suggeriscono alcuni? O al
parlamento di nuova elezione, come hanno sostenuto altri?
Di fatto entrambe le prospettive sono formalistiche e miopi.
L’idea di un consiglio presidenziale è priva di qualsiasi grado di
democrazia. Chi ne sceglierà i membri e attraverso quale
meccanismo? Quanto al secondo suggerimento – trasferimento del potere
al parlamento eletto – esso sembra più democratico, ma perde il suo
significato reale alla luce della composizione del parlamento attuale e
della natura e degli interessi delle forze dominanti al suo interno.
In questo momento periglioso ci concentreremo su rivendicazioni che
siano al servizio della rivoluzione egiziana. Ciò non si otterrà
con slogan privi di senso riguardo al finto trasferimento del potere,
bensì attraverso una nuova ondata di mobilitazione di massa.
Queste rivendicazioni possono essere sintetizzate come segue:
- Primo: dimissioni del governo Ganzouri, in quanto si tratta di un governo della vecchia banda di Mubarak.
- Secondo: processo del consiglio militare guidato dal feldmaresciallo
Tantawi per accuse di aver assassinato, ferito e disonorato migliaia di
rivoluzionari egiziani nelle pubbliche piazze, in quanto non possono
esservi discorsi di democrazia senza mettere il consiglio militare alla
sbarra.
- Terzo: pulizia completa dei residui del vecchio regime e della rete
di interessi che esso rappresenta dalle istituzioni dello stato
egiziano, a cominciare dall’esercito.
Queste rivendicazioni sono parte inseparabile della denuncia dei
riformisti di fronte alle masse che li hanno votati alle
elezioni. Essere rappresentano anche la via d’accesso alla nuova
ondata della rivoluzione egiziana con lo slogan “Tutto il potere e la
ricchezza al popolo!”.
Il compito dei rivoluzionari in queste nuova ondata sarà di collegare
le rivolte e i sit-in nelle piazze con gli scioperi e le proteste dei
lavoratori e dei poveri.
Consisterà nel collegare quelli che vogliono completare la rivoluzione
democratica e portarla oltre una democrazia parlamentare ristretta e
resa incapace verso forme di democrazia diretta di massa nei comitati
popolari dei lavoratori e dei contadini con quelli che vogliono
conseguire le rivendicazioni della giustizia sociale mediante scioperi
e sit-in al fine di reclamare la ricchezza dell’Egitto dalle mille
famiglie più ricche e dalla dirigenza militare e redistribuirla a
beneficio dei lavoratori, dei contadini e dei poveri.
Questa dichiarazione è stata tradotta [in inglese] dalla versione originale in arabo.