Pubblichiamo volentieri
questo ottimo lavoro di Sergio Bontempelli, che
ringraziamo, sulle vicende che hanno preceduto l'attuale
situazione in Ucraina |
Ucraina, alle origini della guerraUna scheda informativa a cura di Sergio Bontempelli
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In principio fu Maidan.Sì, è vero, questa storia potrebbe
cominciare anche |
Nayyem scende in strada, si
reca sul luogo dell’appuntamento e vi trova cin- quanta persone. Poi, nel giro di un’ora, le persone diventano mille, e poi mille- cinquecento. La manifestazione si trasforma subito in un presidio permanente: molti cittadini decidono di dormire nella piazza, e nei giorni successivi molti al- tri aderiscono alla mobilitazione. Comincia così la protesta «europeista» che in tutto il mondo diventerà nota col nome di «Euromaidan», e che vedrà la parteci- pazione di decine di migliaia di ucraini (1). Chi sono i giovani di Maidan?Chi sono, e cosa vogliono, i cittadini che manifestano contro la scelta di Janu-kovič? Alcuni commentatori dipingono Maidan come una sorta di comploto delle potenze occidentali contro il legittimo governo dell’Ucraina. I dimostranti, secondo questa lettura, sarebbero manipolati ad arte dai partiti dell’opposizio- ne; e a Maidan sarebbe molto forte la presenza di movimenti neo-fascisti e di estrema destra(2). La realtà, sopratutto nelle prime fasi della mobilitazione popolare di Maidan, è molto diversa da questa rappresentazione caricaturale. I partiti di opposizione cercano, è vero, di cavalcare il movimento, ma i dimostranti respingono al mit- tente ogni tentativo di «appropriazione» della loro protesta. Il 24 Novembre le principali forze politiche della minoranza parlamentare – il partito Batkivschina di Julija Tymošenko, l’Alleanza Democratica Ucraina per la Riforma di Vitalij Klyčko e il gruppo di estrema destra Svoboda – convocano una manifestazione nella Piazza Europa di Kiev (Yevropeiska ploshcha), a poche centinaia di metri dalla Maidan Nezalezhnosti. Prende così forma una seconda protesta, interamen- te organizzata e guidata dai partiti di opposizione, che resterà a lungo distinta dal movimento cominciato il 21 Novembre. Per setimane, dunque, esistono due «Maidan» diverse e separate: la «Mai- dan» vera e propria, e la «pseudo-Maidan» dei partiti di opposizione. Le due piazze non si parlano, e anzi si guardano con una certa difdenza. I fascisti, quindi, a Maidan non ci sono. E non ci sono neppure i partiti flo-occidentali. Loro stanno in un’altra piazza(3). L’europeismo di Maidan è davvero «di destra»?Per buona parte della
sinistra occidentale è difficile immedesimarsi nei mani-
festanti «europeisti» di Maidan. Qui da noi l’Unione Europea è vista – e con ot- time ragioni – come un progeto sostanzialmente neoliberale, che nel corso dei decenni ha imposto tagli al welfare e alle spese sociali, in nome di una ortodossia monetarista importata dagli Stati Uniti. Ma noi, appunto, siamo dentro l’ UE, e ne vediamo tutti i limiti. Per un paese come l’Ucraina, che ha dovuto subire sopratuto l’egemonia imperiale della Russia, l’Unione Europea rappresenta il so- gno di un altro mondo possibile, l’immagine di una vita migliore. Lo si vede bene dai risultati di un sondaggio condoto nel 2011 su un campio- ne di circa 2.000 persone. Chiamati a indicare i vantaggi di una eventuale ade- sione alla UE, gli interpellati citano sopratuto le opportunità di libera circola- zione per i citadini ucraini (33%), e i benefci di tipo economico (lavoro stabile, salari più alti, interventi di welfare ecc.) (37%). Le risposte di natura «ideologica» (la vicinanza culturale dell’Ucraina alla civiltà europea) o di carattere «geopoli- tico» (l’UE come garanzia di sicurezza per il paese) sono netamente minoritarie: sommate insieme, non arrivano al 20%. |
Bisogna poi aggiungere che
Maidan non nasce dal nulla: negli anni precedenti – tra il 2009 e il 2013 – si erano già verifcate varie proteste nelle cità ucraine. E quasi tute queste mobilitazioni riguardavano temi socio-economici: il lavoro, i salari, la sicurezza sociale, il dirito alla salute(4). Infne, per molti citadini ucraini la scelta di cooperare con la UE non è affatto in contrapposizione con la Russia. In un altro sondaggio, effetuato nel 2013 dall’IPA (Institute of Public Afairs, un think tank con sede a Varsavia), emerge chiaramente che tanto i citadini ucrainofoni quanto quelli russofoni sono favo- revoli ad una politica «multivetoriale», cioè ad una cooperazione economica e politica sia con Bruxelles sia con Mosca. |
I manifestanti di
Maidan, insomma, non sono sostenitori di
quell’europeismo
neoliberista che abbiamo imparato a conoscere nella parte occidentale del Vec- chio Continente: sono giovani e meno giovani che, travolti dalla crisi globale, contestano il loro governo, e chiedono una politica economica più giusta. Da questo punto di vista, Euromaidan è parte integrante di quella «rivolta globale» che dalle Primavere Arabe arriva fno a Gezi Park, passando per gli indignados spagnoli. Le piattaforme politiche e le rivendicazioni di questi movimenti sono ovviamente molto diverse, ma la temperie culturale è grosso modo la stessa (5). L’accordo di associazione con l’Unione Europea del 2013La protesta, come si è detto, nasce dal rifuto di Janukovič di firmare l’Accordodi Associazione con l’Unione Europea. È necessario precisare che l’«Accordo di Associazione» è cosa ben diversa dalla «adesione» all’ UE ; non è neppure una sorta di «pre-adesione», cioè un passo preliminare a un futuro ingresso dell’Ucraina nell’Unione Europea. Si tratta, molto più modestamente, di un ac- cordo tra le due parti, che prevede sia clausole commerciali che impegni politi- ci. Per quanto riguarda le clausole commerciali, l’Accordo si concretizza in quel- lo che nel linguaggio delle burocrazie europee si chiama «Deep and Comprehensi- ve Free Trade Agreement» o DCFTA: cioè una sostanziale liberalizzazione degli scambi economici e una abrogazione dei dazi per le merci ucraine esportate nei paesi UE (in particolare per i prodoti agricoli). Nella parte politica, l’Accordo contiene clausole più generiche: l’Ucraina si impegna a promuovere riforme costituzionali ed eletorali democratiche, a vara- re misure efficaci contro la corruzione, a tutelare i diriti umani e a rafforzare l’indipendenza della magistratura. Su quest’ultimo punto, uno dei più contro- versi, l’Unione Europea chiede in particolare la revisione del processo a Julija Tymošenko, condannata per corruzione nel 2011 a seguito di una vicenda giu- diziaria considerata «illegale e arbitraria» dalla Corte di Strasburgo (6). Se i vantaggi economici di un rapporto con la UE sono innegabili, meno chiaro è il rapporto che l’Accordo di Associazione ha con i fnanziamenti provenienti dal Fondo Monetario Internazionale. L’Ucraina ha, in questo periodo, un debito di circa 44 miliardi di euro, e ha urgente bisogno del prestito promesso dall’ FMI: tale prestito è però
vincolato a una serie di riforme impopolari (tra cui
quella
delle pensioni), che solo qualche anno prima Janukovič non ha voluto varare te- mendo di perdere consensi eletorali. Formalmente, l’Accordo di Associazione e il prestito dell’FMI non sono legati tra loro: tutavia, per convincere l’Ucraina a frmare l’Accordo, l’Unione Europea si è impegnata a fare pressione sul Fondo Monetario afnché conceda il fnanziamento(7). Sul versante opposto, la Russia preme su Janukovič perché non firmi l’Accor- do. Nell’Estate del 2013, mentre i negoziati con l’ UE sembrano volgere al termine, Mosca impone una serie di dure sanzioni economiche a Kiev, che secondo l’Economist fanno perdere all’economia ucraina circa 15 miliardi di euro(8). In Au- tunno, al «bastone» segue la «carota»: in cambio della mancata firma dell’Accor- do, Putin promete all’Ucraina un finanziamento agevolato di 15 miliardi di dol- lari e una riduzione consistente del prezzo del gas che la Russia fornisce al pae- se(9). Janukovič, da sempre vicino a Mosca, si fa convincere, e decide di non fir- mare l’Accordo di Associazione con la UE. Janukovič, oligarca neoliberistaPer completare il quadro, non possiamo non spendere qualche parola su unodei principali protagonisti di questa vicenda, il contestatissimo Viktor Januko- vič. Fondatore del «Partito delle Regioni» di orientamento flo-russo, il Presi- dente dell’Ucraina fa parte a pieno titolo di quella che si usa chiamare «l’oligar- chia» del paese. Con il termine «oligarchi» si indicano quegli ex dirigenti politici dell’epoca so- vietica che, dopo il crollo dei regimi, si sono appropriati delle grandi aziende di Stato, trasformandosi in ricchi imprenditori e in magnati della finanza. Le pri- vatizzazioni selvagge dei primi anni Novanta, condote in una situazione di grave caos istituzionale, non hanno infatti allontanato dai loro posti di potere i vecchi dirigenti comunisti: questi ultimi, al contrario, sono riusciti ad accapar- rarsi ingenti risorse pubbliche a prezzi ridicoli, in quello che Steven L. Solnick ha definito «il furto dello Stato»(10). Sempre negli anni Novanta, questi magnati hanno intrecciato alleanze tra loro, allo scopo di consolidare gli afari e di condizionare a proprio vantaggio la vita politica del paese. Sono così sorti tre grandi gruppi o «clan», ciascuno radi- cato in una specifca area geografca: il clan di Donetsk, quello di Dniprope- trovs’k e quello di Kiev. Janukovič è emerso rapidamente come il leader del gruppo di Donetsk, più potente degli altri perché espressione di una zona parti- colarmente industrializzata e ricca di risorse(11). Dopo una lunga carriera al crocevia tra potere economico e potere politico, Ja- nukovič viene eleto Presidente nel 2010, e nel corso degli anni utilizza tale inca- rico per incrementare le sue fortune e per raforzare la sua cospicua rete di clientele e allenze. Sotto la sua Presidenza l’Ucraina viene leteralmente depre- data dalla corruzione, ed è vitima di quella che è stata defnita una «cleptocra- zia»(12). I metodi usati da Janukovič per appropriarsi di risorse pubbliche sono abbastanza noti. Uno dei più famosi riguarda le fonti energetiche. Naftogaz, l’azienda di Stato che commercializza petrolio e gas, vende il gas naturale estratto in Ucraina a prezzi artifcialmente bassi (53 dollari per 1.000 metri cubi), per garantire bollete accessibili alle famiglie e ai lavoratori: in realtà, alcuni uo- mini d’affari – legati al «cerchio magico» del Presidente – rivendono una partedi quel gas alle aziende a prezzi di mercato (fno a 400 dollari per 1.000 metricubi), ricavandone profitti da capogiro (oltre 3 miliardi di dollari all’anno, secondo alcune stime). Il secondo meccanismo di appropriazione è legato a quelle che in Italia chiameremmo «grandi opere»: un tipico esempio sono le infra- strutture costruite per gli Europei 2012 di calcio, su cui i politici legati al Presi- dente hanno intascato tangenti per un valore di almeno due miliardi di dollari l’anno. Infine, gli uomini di Janukovič, inseriti nei posti chiave del governo e dell’amministrazione, hanno leteralmente depredato le casse dello Stato, ap- propriandosi di fondi pubblici con metodi illegali (falso in bilancio, corporate raiding e altro): secondo alcune stime, il «furto» annuale a carico dello Stato am- monta a cifre che vanno dai 3 ai 5 miliardi di dollari (13) . Uomo corrotto e senza scrupoli, Janukovič è anche promotore di politiche neoliberali e anti-sociali: negli anni della sua Presidenza negozia e firma accordi con il Fondo Monetario Internazionale, mettendo parzialmente in ato le politi- che di «austerità» da esso raccomandate. Il mix di politiche economiche liberiste e di corruzione dilagante impoverisce la popolazione, creando le condizioni di una rivolta sociale(14). Le prime repressioni e la svolta: fine 2013-inizio 2014Torniamo ora alle proteste di Euromaidan. Il primo momento di svolta in que-sta intricata vicenda arriva tra il 29 e il 30 Novembre 2013. Alle quatro del mat- tino, con il pretesto di installare un albero di Natale sulla Piazza Maidan (!), 500 uomini della Berkut (la polizia speciale ucraina) si presentano in tenuta antisom- mossa per disperdere il presidio. I dimostranti vengono brutalmente aggrediti, bersagliati coi gas lacrimogeni e inseguiti per centinaia di metri fuori dalla piaz- za. Decine di manifestanti e di giornalisti indipendenti vengono feriti e condotti in arresto, e quatordici persone risultano disperse dopo essere state fermate dalla polizia(15) . Dieci giorni dopo la polizia tenta nuovamente di sgomberare la piazza con la forza, ancora una volta senza successo. Ma il vero e proprio «giro di vite» avviene a metà Gennaio, quando il Parla- mento approva un paccheto di leggi liberticide volte a reprimere proprio la protesta di Maidan. Le nuove norme volute da Janukovič impongono l’obbligo di registrazione a tute le organizzazioni che ricevono finanziamenti dall’estero (un chiaro monito alle Ong filo-occidentali); prevedono l’arresto e la detenzione per chi partecipa a manifestazioni non autorizzate, e puniscono con sei anni di carcere l’occupazione (anche pacifca) di edifci pubblici; infne, sanzionano se- veramente la diffamazione e la diffusione di non meglio definite «idee estremi- ste», autorizzando di fatto la censura contro i giornalisti e i blogger indipenden- ti(16). I cittadini ucraini reagiscono con sdegno, e nei giorni successivi si susseguo- no manifestazioni e scontri violentissimi con la polizia. In questo clima infuocato, l’identità del movimento Euromaidan comincia a cambiare in modo irreversibile. In primo luogo, la repressione poliziesca induce i manifestanti a collocarsi sotto l’ombrello protettivo dei parlamentari dell’oppo- sizione: così, quelli che fino a pochi mesi prima erano percepiti come intrusi di- ventano ora interlocutori – per così dire – «obbligati», e finiscono per assumere la leadership di fatto della protesta. In secondo luogo, la crescente violenza delle forze di polizia spinge il movimen- to a costruire vere e proprie squadre di autodifesa, in alcuni casi anche armate. Ed è qui, nelle squadre di autodifesa, che cominciano a «infltrarsi» gli attivisti dell’estrema destra ucraina: resteranno una sparuta minoranza, e non avranno mai alcuna egemonia sul movimento, ma faranno molto parlare di sé. Il triste- mente noto «Pravyj Sektor», gruppo paramilitare di simpatie naziste, nasce pro- prio come squadra di autodifesa(17). In terzo luogo, il movimento Euromaidan cambia pelle: diminuisce al suo inter- no la presenza dei cittadini di Kiev, mentre si fa sempre più consistente il nume- ro di attivisti provenienti dalle zone ovest dell’Ucraina, culturalmente più vici- ne all’Europa occidentale. Il movimento, insomma, si fa sempre più ucrainofono e più «europeo»(18). Infine – quarto punto – lo scontro tra dimostranti e governo diventa sempre meno una questione di politica interna, e comincia a coinvolgere le grandi po- tenze internazionali: da un lato l’Unione Europea e la Nato, che sostengono apertamente l’opposizione, dall’altro la Russia di Putin che difende il governo. I fatti di Febbraio 2014: ci fu davvero un «colpo di stato»?Agli inizi del 2014 la rivolta di Euromaidan rischia di degenerare in una vera epropria guerra civile. Il 18 Febbraio un lungo corteo sfila per le strade di Kiev e tenta di avvicinarsi al palazzo del Parlamento: in città si è difusa la notizia che la proposta di riforma costituzionale presentata dall’opposizione non è stata ca- lendarizzata dal Presidente della Verchovna Rada, la Camera ucraina, e la cosa ha fatto infuriare molti cittadini. La polizia passa all’attacco e carica il corteo con estrema violenza. Poche ore dopo il governo lancia un ultimatum: entro le 18:00 dello stesso giorno i manifestanti devono sgomberare la Piazza Maidan, occupata ormai da mesi. L’ultimatum viene ovviamente respinto, e la polizia procede ad una re- pressione di inedita violenza: per tutta la note gli agenti attaccano il presidio, sparando ad altezza uomo con i fucili e usando cannoni ad acqua contro attivi- sti e semplici citadini(19). Gli scontri vanno avanti per diversi giorni, e lasciano sul terreno almeno un centinaio di morti. Tra gli elementi più controversi di questa vicenda vi è la pre- senza di veri e propri cecchini, appostati sui tetti, che sparano sui manifestanti: le opposizioni accuseranno il Presidente di aver inviato quei cecchini, mentre la propaganda russa cercherà di accreditare l’ipotesi di un’operazione false fag or- chestrata dagli americani per delegitimare il governo(20). Il 21 Febbraio le forze dell’opposizione avviano un dialogo con il Presidente Janukovič, per trovare una soluzione che ponga fne alla guerra civile: al tavolo delle trattative intervengono anche tre Ministri dell’Unione Europea, nonché il Difensore Civico russo Vladimir Lukin, a dimostrazione del fatto che la vicenda è divenuta ormai una contesa internazionale. Si arriva così a un accordo acceta- to da tuti i partecipanti, con la sola eccezione di Lukin. L’accordo prevede il ri- torno immediato alla Costituzione del 2004 (che in pratica equivale a un ridi- mensionamento dei poteri del Presidente), la formazione di un governo di unità nazionale, l’approvazione entro la fne del 2014 di una riforma costituzionale, la convocazione di nuove elezioni, l’immediato cessate il fuoco e l’avvio di un’inchiesta indipendente sulle violenze della polizia(21). Dopo aver frmato l’accordo, però, Janukovič fugge dal paese, e scompare per alcuni giorni. Si fa vedere solo il 28 Febbraio, nella cità russa di Rostov sul Don, in una conferenza stampa in cui accusa le opposizioni e il movimento di Mai- dan di aver organizzato un vero e proprio colpo di stato(22). In assenza del Presidente, il Parlamento assume pieni poteri, e adotta alcune misure straordinarie: convoca nuove elezioni presidenziali per il 25 Maggio, ed elegge un Presidente provvisorio nella persona di Oleksandr Turchynov, leader del partito Batkivshchyna e braccio destro di Yulia Tymoshenko(23). Questa complessa serie di avvenimenti (gli scontri del 18-20 Febbraio, l’accor- do di pace del giorno 21, la fuga di Janukovič e l’assunzione di pieni poteri da parte del Parlamento) sono stati spesso interpretati come un colpo di stato, sulla scia delle accuse lanciate dal Presidente fuggitivo. L’ultimo a proporre questa letura è stato il noto storico Luciano Canfora, sulle colonne del quotidiano Il Riformista, nel Marzo 2022(24). Questa interpretazione è però assai problematica e difcile da sostenere. Non c’è dubbio che l’uscita di scena di Janukovič sia stata viziata da numerose irre- golarità formali e sostanziali. Altretanto indubbio è il caratere decisamente «ir- rituale» delle decisioni del Parlamento (la Costituzione ucraina non consente alle assemblee eletive di «sostituirsi» al Presidente, se non in caso di morte di quest’ultimo o di un formale atto di impeachment). E tutavia la precipitosa fuga di Janukovič è stata altretanto «irrituale», se non proprio eversiva, e ha provo- cato una situazione di grave caos nel paese: nell’inedito vuoto di poteri che si è venuto a creare, il Parlamento – in quanto eletto dal popolo – era l’unica istitu- zione capace di garantire un minimo di legalità democratica. D’altra parte, l’ex Presidente si era reso responsabile di gravissime violazioni costituzionali, tra cui le leggi «anti-protesta» del mese di Gennaio che avevano gravemente mina- to le più elementari garanzie del diritto. Se definiamo «colpo di stato» la cacciata di Janukovič, la stessa qualifica va atribuita agli atti eversivi compiuti dallo stesso Janukovič negli ultimi mesi della sua presidenza (25) . In realtà, è del tutto improprio parlare di «golpe»: le vicende del Febbraio 2014 vanno più plausibilmente interpretate come una complessa serie di forzature del- la legalità, compiute principalmente da Janukovič, e in misura minore dalle op- posizioni parlamentari(26). La controffensiva russa: la ridefnizione degli scontri come «conflitto etnico»e la questione della CrimeaAgli inizi di Marzo il Presidente russo Vladimir Putin tiene a Mosca una con-ferenza stampa, nella quale accusa apertamente il nuovo governo ucraino e le potenze occidentali di aver violato la legalità. In questa conferenza stampa ven- gono defniti per la prima volta gli assi portanti della propaganda russa: secon- do Putin, l’uscita di scena di Janukovič sarebbe il frutto di un golpe ordito dalle potenze occidentali, e il nuovo governo ucraino, egemonizzato da forze esplici- tamente naziste, starebbe promuovendo una vera e propria pulizia etnica ai dan- ni della minoranza russofona(27). Gli stessi temi saranno ripresi, nelle settimane e nei mesi successivi, da tutti i media in qualche modo controllati dal governo russo: colossi dell’informazione come Russia Today e Sputnik diffonderanno sempre più spesso notizie distorte, e a volte deliberatamente inventate, per accreditare l’immagine di una minoranza etnica russa assediata e vittima di persecuzioni sistematiche. Il culmine di que- sta campagna di disinformazione viene raggiunto il 12 Luglio 2014, quando l’emittente televisiva Pervy Kanal (Primo Canale) intervista la signora Galina Py- shniak, una rifugiata proveniente dalla cità di Sloviansk: la signora racconta di aver assistito alla scena raccapricciante di un bambino di appena tre anni, pro- veniente da una famiglia russofona, ucciso dai miliziani ucraini mediante croci- fissione di fronte agli occhi atterriti della madre. La notizia farà il giro del mon- do, ma inchieste indipendenti condote dalla BBC e dal quotidiano russo Novaya Gazeta ne accerteranno la falsità (28) . Il diluvio di fake news sul conflitto ucraino è abilmente orchestrato dal governo e dai servizi segreti di Mosca, che mobilitano un vero e proprio esercito di bot e falsi profli sui social network(29). Questa campagna di disinformazione serve a Putin per accreditarsi come il di- fensore della minoranza etnica russa in Ucraina, e dunque per intervenire militar- mente nel paese. Già alla fine di Febbraio, centinaia di uomini delle forze spe- ciali agli ordini del Cremlino affluiscono nella penisola di Crimea: non indossa- no uniformi né segni di riconoscimento, si fanno passare per semplici citadini appartenenti a «squadre popolari di autodifesa» e occupano edifci governativi, aeroporti e strade. In pochi giorni, puntando anche sull’effeto sorpresa, questi misteriosi «uomini verdi» prendono il controllo dell’intera Crimea. Il 16 Marzo, un frettoloso referendum – tenuto in assenza di osservatori internazionali indipendenti – sancisce l’annessione della penisola alla Federazione Russa. Nelmese di Aprile, poi, Putin riconoscerà che gli «uomini verdi» erano soldati dell’esercito privi di uniformi(30). Al di là degli aspetti militari, la campagna di disinformazione lanciata dal Cremlino ha un potente effetto di reframing: riesce cioè a orientare l’opinione pubblica, imponendo una nuova lettura della «questione ucraina». Se fino a questo momento lo scontro tra Janukovič e le opposizioni era stato visto come un conflitto politico e geo-politico, adesso molti commentatori – anche occidentali – cominciano a interpretarlo come un conflitto etnico: cioè come un contrasto tra il gruppo maggioritario degli «ucrainofoni» e l’etnia «russofona» (quest’ultima descrita spesso come minoranza marginalizzata e discriminata). Comincia così a diffondersi quello che è stato chiamato «il mito delle due Ucraine», su cui vale la pena sofermarsi brevemente. Esistono davvero due Ucraine?L’esistenza vera o presunta di due rilevanti gruppi linguistici (il gruppo ucrai-no e quello russo) ha spinto molti commentatori a dipingere l’Ucraina come una sorta di «Svizzera dell’Est», con una maggioranza ucrainofona nella parte occi- dentale e alcuni «cantoni» russofoni nelle zone orientali (si veda la mappa pub- blicata da Limes e riprodota alla pagina successiva). Le cose, però, sono assai più complesse. L’Ucraina non è un paese diviso tra due «nazionalità» distinte e separate dalla lingua: è, al contrario, un territorio difusamente bilingue e plurilingue, dove quasi tuti i citadini parlano corrente- mente sia il russo che l’ucraino, e dove non esiste una distinzione netta tra i due gruppi. Come testimonia Joanna Fomina, studiosa dell’identità e della storia del paese, «accade spesso che, in una conversazione informale, una persona parli ucraino e l’altra risponda in russo»(31). Già i dati dell’ultimo censimento – con- doto nell’ormai lontano 2001 – evidenziavano una difusa mixitè linguistica, culturale ed «etnica»: ad esempio, molti citadini si consideravano ucraini ma dichiaravano poi di parlare russo in famiglia e nei contesti informali (32) . Una di- screpanza ancor più rilevante emergeva da un sondaggio condoto nel 2004 dal Russian Center of Demographics and Human Ecology: il 30% dei citadini ucraini si considerava «russofono» – afermava cioè di parlare russo come lingua madre – ma la percentuale di coloro che dichiaravano di usare correntemente il russo nelle situazioni quotidiane, in famiglia e tra gli amici, arrivava al 60%. |
Vi era dunque una quota
molto consistente di citadini che si definivano etni-
camente ucraini, che dichiaravano l’ucraino come lingua madre, e che però usa- vano comunemente il russo(33). Alle stesse conclusioni è arrivata una rilevazione condota nel 2013 dal già citato Institute of Public Afairs: gran parte dei cittadini si sono dichiarati «di nazionalità ucraina», ma molto di loro hanno riconosciuto di parlare il russo come lingua privilegiata per gli scambi informali e per le di- scussioni familiari. Infine, in molte zone dell’Ucraina centro-occidentale è difuso il suržik, una sorta di dialeto – in termini linguistici andrebbe defnito propriamente come un code-mixing, una varietà di contatto – in cui si mescolano e si intrecciano il russo e l’ucraino(34). Dal punto di vista «etnico», dunque, l’idea delle «due Ucraine» è del tuto infondata, ed è nient’altro che un mito nazionalista. Come ha spiegato uno scrittore di Odessa, L’Ucraina ha ricevuto un regalo raro da Dio: qui tutti capiscono tutti. Dite qualcosa in russo e vi capiranno. Risponderanno nella lingua che preferiscono e voi li capirete. E anche se non capite, lo ripeteranno in una lingua che potete capire(35). È vero, beninteso, che
l’Ucraina è divisa in due aree molto diverse. Esiste in-
fati un divario evidente tra la zona occidentale, che vive di agricoltura e di ter- ziario e che è culturalmente vicina all’Europa, e le regioni orientali, più ricche e industrializzate e da sempre legate alla Russia. È altretanto vero che nella parte Est la lingua ucraina è meno difusa che all’Ovest, tanto che si può parlare a ra- gione di zone più marcatamente «russofone». E tutavia la mixité linguistica pro- pria di tuto il paese – anche delle zone orientali – non autorizza in alcun modo a parlare di due «etnie» radicalmente diverse, né di «cantoni russi». Quella tra Est e Ovest è una divisione economica, politica e in una certa misura culturale, che non ha nulla a che vedere con un (finora inesistente) confito «etnico» tra russi e ucraini. Il nazionalismo ucraino e le inquietudini del DonbassÈ la Russia di Putin che, all’indomani della fuga di Janukovič, spinge per unaprogressiva ridefinizione dello scontro sociale come confito «etno-nazionale». Sul versante opposto, anche il nuovo governo di Kiev promuove però un’inten- sa propaganda nazionalista, in cui l’Ucraina è presentata come un paese esclusi- vamente europeo, «occidentale» e per questo estraneo alla cultura e all’identità russa: un’immagine, come abbiamo visto, assai lontana dalla realtà. Il nazionalismo ucraino non nasce nel 2014: è ben radicato nella storia del pae- se, ed è un elemento centrale della sua identità colletiva almeno dagli anni dell’indipendenza. Ha, come molti altri nazionalismi dell’Est Europa, una marcata venatura anti-comunista, e per questo tende a rivalutare sul piano memoriale tute le figure storiche che a vario titolo si sono opposte alla Russia sovieti- ca, spesso dimenticando il loro coinvolgimento nei massacri e nelle pulizie etni- che novecentesche. Emblematica, da questo punto di vista, è l’esaltazione di Stepan Bandera, fon- datore negli anni ’40 dell’Esercito Insurrezionale Ucraino e fancheggiatore del- la Germania hitleriana. Negli ultimi anni Bandera è divenuto uno dei simboli della nuova Ucraina, con una impressionante rimozione del suo ruolo storico di collaborazionista e criminale di guerra. La stessa protesta di Maidan ha adotato simboli «banderisti», come il drappo rosso-nero dell’Esercito Insurrezionale e lo slogan «Slava Ukraïni! Herojam slava!» (Слава Україні! Героям слава!, ossia «Gloria all’Ucraina! Gloria agli Eroi! ») gridato da tuti i manifestanti di Kiev. Sarebbe però un errore identifcare il nazionalismo ucraino con il nazismo o con l’estrema destra nostalgica. In realtà, la memorialistica «banderista» si basa – potremmo dire – su una trasfigurazione hollywoodiana del personaggio di Ban- dera, percepito da molti ucraini semplicemente come un eroe anti-sovietico e quindi democratico, con un signifcativo oblio dei suoi legami col nazismo (36). Come ha spiegato Serhy Yekelchyk, si può dire che, nel corso della Rivoluzione di EuroMaidan, l’immagine di Bandera ha acquisito un nuovo signifcato: essa è divenuta un simbolo della re- sistenza al regime corroto sostenuto dalla Russia, a prescindere dall’efetivo ruolo storico di Bandera, fautore di un etnonazionalismo escludente(37). Un altro aspetto centrale del nazionalismo ucraino – e uno dei più equivocati – è quello linguistico, che riemerge prepotentemente all’indomani delle manifestazioni di Maidan: proprio mentre Janukovič sta fuggendo all’estero, il 23 Febbraio, la Verkhovna Rada (il Parlamento ucraino) vota per l’abrogazione della cosiddeta «legge Kivalov-Kolesnichenko» del 2012, cioè della norma – fortemente voluta da Janukovič – che garantiva di fatto al russo lo status di «seconda lingua» del paese (la nuova legge non entrerà in vigore perché il Presidente apporrà il suo veto). La battaglia per l’«ucrainizzazione linguistica» è uno degli assi portanti del nazionalismo ucraino: si basa sul mito, tipico di molti altri nazionalismi (incluso quello italiano), secondo cui ogni «popolo» si identifca con una, e una sola, lingua nazionale. Secondo questa idea, gli ucraini non saranno mai un popolo «maturo» se continueranno a parlare una lingua non loro, importata dai «colonizzatori» di Mosca: di qui le proposte di legge volte a garantire l’egemonia della lingua ucraina su quella russa. |
Non bisogna però fare
l’errore di vedere in questa campagna di «ucrainizza-
zione» una volontà di proibire l’uso del russo, di discriminare la minoranza rus- sa, o ancora di attuare una sorta di «pulizia etnica» ai danni dei citadini russo- foni. Molti attivisti nazionalisti sono anche loro russofoni, e difficilmente po- trebbero patrociniare una qualche forma di discriminazione contro se stessi. In realtà, queste campagne nazionaliste vanno intese come una forma di «auto- educazione» del popolo: come una sollecitazione a parlare ucraino, a identif- carsi con l’idioma «autentico» (o presunto tale) del proprio paese. Parafrasando un celebre moto del Risorgimento italiano, si potrebbe dire che, per i nazionali- sti, una volta fata l’Ucraina (cioè una volta che il paese è divenuto indipenden- te), è necessario fare gli ucraini. Le norme sulla lingua emanate nel corso degli anni, dalla Rivoluzione Arancione del 2004 a oggi, non hanno mai proibito l’uso della lingua russa in senso assoluto – come talvolta si sente dire – ma hanno cer- cato (senza peraltro riuscirci del tutto) di conferire all’ucraino lo status di unica lingua «ufficiale», cioè parlata nelle Università, nelle scuole e nelle Pubbliche Amministrazioni(38) . L’esasperato nazionalismo anti-russo difuso all’Ovest è però destinato a crea- re attriti e confitti con le zone orientali e meridionali. Qui, come abbiamo visto, sono ancora molto forti i legami con Mosca, sia dal punto di vista economico (tutta l’area vive di scambi commerciali con la Russia), sia dal punto di vista culturale e linguistico. Al contrario di quanto si crede di solito, però, la zona sud-orientale non si sente «etnicamente russa»: prevale, piuttosto, una diversa interpretazione dell’«identità nazionale», in cui l’Ucraina non è vista come un paese compiutamente
occidentale ed europeo, ma come un territorio misto,
segnato
da una storia di legami con il mondo euro-asiatico. Un sondaggio condoto nell’Aprile 2014 dall’Istituto Internazionale di Sociolo- gia di Kiev aiuta a capire questo diverso approccio: come i loro omologhi dell’Ovest, anche gli ucraini del Sud-Est considerano Janukovič un Presidente illegitimo (così viene defnito dal 70% degli interpellati), e molti di loro non vo- gliono l’annessione delle loro regioni alla Russia (70% in tuta la zona del Sud- Est, poco più del 50% nelle regioni di Donetsk e Luhansk). Al contempo, però, si dichiarano contrari all’ingresso nella UE , e dicono di preferire l’adesione all’Unione doganale con la Russia, la Bielorussia e il Kazakhstan (47% in tuto il Sud-Est, il 72% a Donetsk e il 64% a Luhansk). Come si vede, l’identità «ucrai - na» non viene messa in discussione: piutosto, si pensa ad un paese che rafforza i suoi legami economici e culturali con la Russia. Nella Primavera del 2014, alla vigilia della guerra del Donbass, le spinte ad una vera e propria secessione sono dunque largamente minoritarie. Tutavia, la difusione di un nazionalismo ucraino fortemente «occidentalista», anti-russo e anti-sovietico, suscita profon- de inquietudini in una parte delle popolazioni orientali e meridionali del paese: ed è su queste inquietudini che fa leva la propaganda di Putin. |
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Aprile 2014: l’inizio della guerra in DonbassIl termine «Donbass» è l’abbreviazione di «Doneckij bassejn» (Донецкийбассейн), cioè «bacino del Donec». Il Donec è un fume affluente del Don che atraversa tre oblast, cioè tre regioni dell’Ucraina orientale: quella di Luhansk, la più a est, quella di Donetsk e quella di Dnipropetrovsk (39). È in queste zone che, nella Primavera 2014, si assiste a un’offensiva militare russa, destinata a dege- nerare ben presto in un vero e proprio conflitto armato. Mappa delle regioni (oblast) in
Ucraina
Già agli inizi di Marzo, nelle principali cità di questa zona si tengono manife- stazioni a favore di Janukovič: i dimostranti occupano gli edifci delle ammini- strazioni pubbliche, e si scontrano con gli attivisti pro-Maidan, che qui sono una minoranza, ma che godono comunque di un certo consenso(40). Attorno alla metà di Aprile queste manifestazioni «flo-Janukovič» assumono un carattere più marcatamente paramilitare: nelle occupazioni degli edifci pub- blici, ai semplici citadini e agli ativisti si affiancano quei misteriosi «uomini |
verdi» armati che già erano
stati protagonisti dell’occupazione della Crimea. Tra di loro viene riconosciuto Igor Girkin, noto col nome di battaglia di «Strel - kov», ex funzionario dei servizi segreti del Cremlino ora a capo di una unità mi- litare proveniente dalla Russia(41). L’intervento militare in Donbass produce una vera e propria secessione: due oblast (regioni) si separano da Kiev, e danno vita alla Repubblica Popolare di Donetsk (il 7 Aprile) e alla Repubblica Popolare di Luhansk (il 27 Aprile), due nuove entità statali auto-proclamate, non riconosciute dal governo ucraino e so- stenute di fato da Mosca(42). Il 15 Aprile, in risposta alle iniziative secessioniste dei flo-russi, il Presidente ucraino Oleksandr Turchynov annuncia l’inizio di una «operazione anti-terrori- smo», con l’invio dell’esercito nella Repubblica «ribelle» del Donetsk: da questo momento, l’aspro confronto nel Donbass si trasforma in una vera e propria guerra(43) . Le elezioni presidenziali del 25 Maggio 2014 e l’ascesa di PoroshenkoLe elezioni presidenziali del 25 Maggio 2014 vedono la vitoria schiacciante, alprimo turno, di Petro Poroshenko, candidatosi con un programma flo-occiden- tale e marcatamente nazionalista. Ricchissimo imprenditore, proprietario dell’emitente televisiva 5 Kanal e magnate dell’industria dolciaria (è il titolare dell’azienda Roshen, che produce cioccolato), Poroshenko è la quintessenza del trasformismo: è stato sostenitore, negli anni Novanta, dell’allora Presidente Leonid Kuchma; poi, nel 2001, si è associato al diretto avversario di Kuchma, Viktor Yushchenko; quando la popolarità di Yushchenko ha cominciato a cala- re, Poroshenko lo ha abbandonato per avvicinarsi alla lady di ferro Julija Ty- mošenko; dopo la sconfta di quest’ultima alle elezioni del 2010, il magnate del cioccolato si è unito a Janukovič, con il quale ha collaborato fno alla rivolta di Euromaidan, in cui ha preso inaspetatamente le parti dei dimostranti. Abile po- litico e scaltro trasformista, Poroshenko è figura gradita alle cancellerie occiden- tali, e dopo le turbolenti vicende della prima metà del 2014 è divenuto punto di riferimento di una parte degli oligarchi: è dunque l’uomo perfetto per archivia- re la stagione delle proteste popolari nel segno di un’apparente (e ipocrita) con- tinuità con Euromaidan(44). Le elezioni segnano la sconfitta dell’altra candidata flo-occidentale, Julija Ty- mošenko, che si ferma al 13%, nonché la sostanziale scomparsa del «Partito del- le Regioni» fondato da Janukovič: il suo candidato Mykhailo Dobkin prende poco più di 500mila voti, appena il 3%. Nonostante la loro grande visibilità me- diatica, le forze neo-naziste hanno un risultato eletorale catastrofco: Svoboda, lo storico partito di estrema destra, prende poco più dell’1%, mentre il gruppo |
«Pravyj Sektor» nato nella
temperie di Euromaidan si ferma allo 0,7%; messe insieme, le due liste raccolgono poco meno di 350mila voti. Le due destre: neofascisti russi e ucraini nella guerra del DonbassL’«operazione anti-terrorismo» lanciata da Kiev – cioè il tentativo di riprende-re il controllo delle province del Donbass – si scontra con la strutturale debolez- za dell’esercito ucraino: secondo un report dell’Atlantic Council, i soldati impie- gati nella regione sono in inferiorità numerica rispeto ai combatenti separatisti, e per di più questi ultimi – grazie ai rifornimenti che ricevono dalla Russia – sono meglio equipaggiati e armati(45). Per sopperire a tale gap, il Ministero dell’Interno decide di autorizzare l’invio nel Donbass di milizie di combatenti volontari, da affiancare alle truppe vere e proprie: nel corso del 2014 si costituiscono così decine di brigate paramilitari «spontanee», per lo più formate da ativisti nazionalisti e finanziate da oligarchi e imprenditori ucraini. Secondo alcune stime, alla fine dell’anno queste unità |
paramilitari arriveranno ad
essere una quarantina, per un totale di più di 13.000 combatenti efetivi(46). Tra le brigate più discusse c’è il famoso «battaglione Azov», espressione di piccole ma agguerrite formazioni politiche neo-naziste, razziste e antisemite. Il battaglione nasce nel Febbraio 2014, quando alcuni componenti del gruppo di estrema destra Patriót Ukrayíny (Патріо́т Украї́ни, cioè «Patriota d’Ucraina») escono dal carcere, dove erano detenuti per atti di terrorismo, e si ritrovano all’hotel Kozats’kiy di Kiev: qui decidono di costituire una milizia volontaria e prendono contati con il Ministero dell’Interno, che ad Aprile li autorizza a par- tecipare alla guerra in Donbass. Principale finanziatore del gruppo è l’oligarca israelo-ucraino Igor Kolomoisky, magnate dell’energia che più tardi contribuirà all’ascesa eletorale del presidente Zelensky. Nel mese di Maggio il neo-costitui- to «battaglione Azov» va a combatere nella cità di Mariupol e sconfigge i sepa- ratisti filo-russi, guadagnandosi le simpatie e l’appoggio dei comandi militari(47). Secondo Amnesty International e Human Rights Watch, nel corso del confito in Donbass il battaglione Azov si renderà responsabile di gravi crimini di guer- ra: torture, uccisioni indiscriminate, abusi sui prigionieri, nonché violente ag- gressioni contro insediamenti di rom (48) . Studiando il «battaglione Azov», il politologo tedesco Andreas Umland ha scoperto che molti dei suoi fondatori sono stati legati, in passato, all’estrema de- stra russa. Dmytro Korchyns’kyy, uno dei leader storici del battaglione, ha par- tecipato a metà anni Duemila ai campi estivi del movimento «Nashi» (un grup- po neo-fascista legato al Cremlino), e ha fato parte tra il 2004 e il 2007 del Con- siglio Diretivo del «Movimento Internazionale Euro-Asiatico» (Международ- нае Евразийскoй Движение, trasliterato: Meždunarodnae Evrazijskoj Dviže- nie), una formazione politica guidata dal flosofo sovranista russo Aleksandr Dugin(49). Può sembrare curioso che i militanti dell’estrema destra ucraina abbiano «pre- so lezioni» proprio da Dugin, sostenitore di un nazionalismo «pan-russo» e uomo molto vicino al Cremlino (lo stesso Putin ha partecipato a più riprese agli incontri del «Movimento Internazionale Euro-Asiatico»)(50). In realtà, Dugin è l’ispiratore e il «cativo maestro» di un’intera generazione di attivisti dell’estrema destra in tuta Europa. Il suo programma politico è carate- rizzato da una forte venatura autoritaria, da spiccate tendenze antisemite, omo- fobe e razziste, e da una dichiarata ostilità alla democrazia: l’estrema destra ucraina ha ripreso tutti questi elementi, limitandosi a trasformare il nazionali- smo «pan-russo» di Dugin in un nazionalismo «ucraino» e filo-occidentale. Sull’altro versante, anche le repubbliche separatiste di Donetsk e Luhansk sono guidate da neo-fascisti, uomini di estrema destra e seguaci di Dugin. Il pri- mo «Governatore del Popolo» del Donetsk, Pavel Gubarev, è stato per anni membro del partito neonazista «Unione Nazionale Russa» (Rússkiy Natsiońl-niy Soyúz, Ру́сский Национа́льний Сою́з); il 14 Maggio 2014, al congresso dell’organizzazione «Nuova Russia» da lui stesso fondata, si è premurato di invitare Alexander Dugin e lo scrittore neonazista Alexander Prokhanov. Sempre nel Donetsk, il Primo Ministro è Alexander Borodai, altro nazionalista soste- nitore di tesi suprematiste bianche. In prima fla nelle occupazioni degli edifci pubblici, nel mese di Marzo, c’era Aleksandr Matyushin, seguace di Dugin, di- chiaratamente omofobo e antisemita(51). Se poi si leggono le «costituzioni» delle repubbliche auto-proclamate, la matri- ce di destra risulta evidente: nelle due carte fondamentali la fede ortodossa vie- ne proclamata religione di Stato, i «valori tradizionali del mondo russo» sono l’elemento fondativo delle istituzioni, l’omosessualità è considerata un crimine e l’aborto è esplicitamente vietato(52). In alcuni ambienti della sinistra occidentale le entità statali separatiste sono state spesso viste, erroneamente, come una riedizione delle vecchie «repubbli- che popolari» sovietiche. L’equivoco deriva dal fato che l’estrema destra «euro- asiatica» (quella che si ispira a Dugin) esalta tuti gli aspetti veri o presunti del passato «imperiale» russo: dunque, paradossalmente, nel pantheon delle sue f- gure di riferimento rientrano tanto gli zar quanto Stalin (quest’ultimo visto però non come leader comunista, ma come interprete delle ambizioni imperiali della grande Russia). Donbass: i crimini di guerra russi e ucrainiNel suo discorso allo stadio Luzhniki di Mosca, il 18 Marzo 2022, VladimirPutin ha defnito il confito del Donbass un «genocidio» perpetrato dalle autori- tà di Kiev ai danni della minoranza russa: questa versione dei fati è stata pron- tamente ripresa dai media vicini al Cremlino, e anche da alcuni commentatori italiani(53). In realtà il confito del Donbass non può in alcun modo essere letto come un’aggressione unilaterale da parte di Kiev, né tantomeno come un genocidio con- tro la minoranza russofona: e a dimostrarlo è la stessa, tragica, contabilità delle vitime. Secondo l’Alto Commissariato ONU per i diriti umani, tra il 14 Aprile 2014 e il 31 Dicembre 2021 sono state uccise circa 14.000 persone: tra queste si contano 3.400 civili, 4.400 soldati ucraini e 6.500 miliziani separatisti. Simili cifre non disegnano il quadro di un genocidio ma quello – drammatico – di una guerra, dove muoiono citadini comuni e combatenti di entrambi i fronti(54). Quella del Donbass è stata ed è una «guerra sporca» (ammesso, e non conces- so, che ve ne siano di pulite): una guerra in cui entrambe le parti – l’Ucraina ag- gredita e i separatisti aggressori – hanno infranto tregue e accordi di pace, ucci- so civili innocenti, torturato prigionieri e violato diriti umani. Sul versante dei flo-russi, l’elenco dei crimini di guerra è molto lungo, e qui possiamo citarne solo alcuni. Le milizie paramilitari delle due repubbliche han- no ad esempio saccheggiato i beni ed espropriato illegalmente le case dei molti citadini ucraini (circa un milione e mezzo, secondo alcune stime) che si sono al- lontanati dalla zona per sfuggire alle violenze(55). Alla fine di Agosto 2014, a Ilo- vaisk nel Donetsk, un battaglione di soldati ucraini è stato preso d’assalto dai miliziani flo-russi mentre si stava ritirando: nel corso del bombardamento, to- talmente ingiustifcato, hanno perso la vita centinaia di militari e di civili; i so- pravvissuti sono stati fatti prigionieri, e hanno subito abusi e trattamenti inuma- ni e degradanti(56). Nel Donbass le repubbliche separatiste hanno aperto numero- si centri di detenzione, dove sono stati rinchiusi prigionieri di guerra, attivisti per i diriti umani e oppositori politici: tristemente famosa è la strutura di «Izo- liatsiia», nel Donetsk, un vero e proprio centro di torture che non ha nulla da in- vidiare a Guantanamo(57). Il 17 Luglio 2014 un missile terra-aria abbatte l’aereo di linea MH17 della Malaysian Airlines, che sta transitando nei cieli del Donbass: muoiono 298 passeggeri civili, in quello che è ricordato come uno dei principali disastri aerei degli ultimi anni. Un’inchiesta indipendente dell’agenzia giornali- stica Bellingcat, e poi un’indagine internazionale a guida olandese, hanno con- fermato che il missile apparteneva alla 53esima Brigata antiaerea delle forze ar- mate russe(58). Anche le forze filo-ucraine si sono macchiate di gravi crimini e di abusi sui ci- vili. Tra gli episodi più drammatici va ricordata la strage di Odessa del 2 Mag- gio 2014, quando i militanti di Pravyj Sektor incendiano il Palazzo dei Sindacati, dove hanno trovato rifugio alcune decine di manifestanti flo-russi disarmati: il bilancio ufficiale parla di trentoto morti, alcuni dei quali assassinati a colpi di pistola mentre cercavano di sfuggire alle famme (59). Altra vicenda tristemente nota è quella di Andrea Rocchelli, giornalista e fotoreporter italiano ucciso da un colpo di mortaio a Sloviansk, il 24 Maggio 2014, mentre documenta i crimini di guerra in Donbass. Nell’attacco, condoto dall’esercito regolare ucraino, per- de la vita anche l’interprete Andrei Mironov. Per anni le autorità ucraine cer- cheranno di insabbiare la vicenda e di coprire le loro responsabilità(60). Gli accordi di Minsk e la loro violazioneIl 5 Setembre 2014 i paesi del «formato Normandia» (Russia, Francia, Germa-nia e Ucraina) si riuniscono nella capitale della Bielorussia e raggiungono un ac- cordo per la sospensione delle ostilità (61). Questo primo «protocollo di Minsk» prevede un immediato cessate il fuoco, la smilitarizzazione delle milizie irrego- lari, un’amnistia per tutti coloro che hanno partecipato alle rivolte nel Donbass (purché non si siano resi responsabili di crimini di guerra), la convocazione di nuove elezioni locali e la defnizione di uno «status speciale» per gli oblast di Donetsk e di Lugansk(62). Tornato a Kiev, per dare segno di buona volontà Poroshenko fa approvare una legge sull’autonomia amministrativa delle due regioni separatiste, alle qua- li conferisce poteri molto ampi, persino superiori a quelli indicati nell’accordo: in particolare, alle autorità locali viene concesso il dirito di avere proprie mili- zie armate, svincolate dal controllo di Kiev. Anche l’amnistia in favore dei ribel- li flo-russi è molto generosa, e non prevede eccezioni neppure per coloro che hanno commesso gravi crimini(63). Il 19 Setembre, sempre a Minsk, viene frmato il memorandum applicativo che defnisce la cosiddeta «linea di contatto», cioè la zona smilitarizzata – al confne tra repubbliche separatiste e territorio ucraino – dove le due opposte fazioni dovranno impegnarsi a non efetuare atti di ag- gressione né manovre militari. Questi primi accordi di pace non vengono però rispettati dai separatisti: già nel mese di settembre, infatti, le milizie delle due repubbliche ribelli avviano una nuova offensiva bellica, occupando l’aeroporto di Donetsk, impadronendosi della cità di Debaltseve ed espandendo il proprio territorio in un raggio di quasi 500 chilometri quadrati(64). Il 12 Febbraio 2015, al termine di una nuova tornata di colloqui, viene frmato il secondo protocollo di Minsk: le sue clausole sono sostanzialmente le stesse del primo accordo, ma stavolta si prevede di inserire diretamente nella Costitu- zione le disposizioni relative allo «status speciale» delle due province separati- ste(65). Il protocollo «Minsk II» rimarrà poi inapplicato, ed entrambe le fazioni – il governo ucraino da una parte, la Russia e le repubbliche separatiste dall’altra – ne violeranno a più riprese le clausole(66). Le politiche di Poroshenko tra austerità, autoritarismo e nazionalismoGli anni di Poroshenko sono disastrosi per l’Ucraina, sia dal punto di vistaeconomico che da quello politico. In campo economico il paese deve fronteggia- re una gravissima crisi finanziaria, iniziata già prima di Maidan, ma aggravatasi ulteriormente a seguito dei disordini del 2014 e della guerra nel Donbass. Som- mersa dai debiti, l’Ucraina deve chiedere prestiti consistenti al Fondo Monetario Internazionale, il quale pretende in cambio durissime misure di austerità (67). Per rispettare gli impegni il Parlamento approva nel Marzo 2015 una riforma re- stritiva delle pensioni: la nuova legge prevede un graduale aumento dell’età pensionabile per le donne dai 57 ai 60 anni, impone un periodo contributivo più lungo, e corregge al ribasso la base per il calcolo delle pensioni (68). Tra il 2015 e il 2016, inoltre, il governo abolisce tutti i sussidi relativi al consumo di gas per le famiglie, e nell’arco degli stessi anni le bollette salgono del 700% (69). Tra il 2014 e il 2018 l’infazione sale al 92%, mentre gli stipendi dei lavoratori diminuiscono: |
il salario medio, che
ammontava a 408 dollari nel Novembre 2013, a Settembre 2017 era sceso a 274 dollari70. Per riguadagnare
consensi – e forse anche per deviare l’attenzione
dalle sue
politiche anti-popolari – Poroshenko promuove una intensa campagna naziona- lista, che culmina nello slogan del 2019 «Esercito, Lingua, Fede». La riconquista del Donbass diventa uno degli obietivi fondamentali della sua presidenza, da perseguire a costo di incrementare il numero di vitime e le soferenze di miglia- ia di citadini di quelle zone. La Russia e il passato sovietico sono oggeto di un’ossessiva demonizzazione: nel 2015, ad esempio, una norma fatta approvare da Poroshenko mette fuori-legge tutte le organizzazioni politiche di ispirazione comunista, in nome di una dubbia equiparazione tra crimini sovietici e crimini nazisti (71). Nel 2019 viene poi approvata un’altra norma – destinata a suscitare aspre quanto inutili polemiche – che trasforma l’ucraino nell’unica lingua uf- ciale del paese, che tutti i funzionari pubblici sono tenuti a usare nell’esercizio delle loro funzioni(72). Un outsider alla Presidenza: Zelensky dal trionfo elettorale alla guerraÈ in un clima di profonda sfducia e di diffuso malcontento che si tengono,nella Primavera 2019, le elezioni presidenziali. Poroshenko si ricandida nuova- mente alla guida del paese, ma viene sfdato – oltre che dall’immarcescibile Juli- ja Tymošenko – da un outsider senza alcuna esperienza politica pregressa: il po- polare attore comico Volodymyr Zelensky. Poco più che quarantenne, di origini ebraiche e di madrelingua russa, Zelen- sky è il protagonista della fortunatissima serie televisiva intitolata «Servo del Popolo» (Слуга народу, Sluha Narodu), che racconta la storia dell’insegnante di liceo Vassily Petrovich Goloborodko: questi, durante una lezione in classe, si la- scia andare a uno sfogo molto colorito contro i politici, la corruzione e le disu- guaglianze sociali. Un suo alunno riprende di nascosto la scena e la pubblica sui social network: nel giro di poche ore il video diventa virale, Goloborodko/Ze- lensky ottiene una inaspetata popolarità, e arriva addiritura a candidarsi e a diventare Presidente (73). Nel corso della campagna elettorale (quella reale), il comico si presenta come un outsider deciso a rompere tuti gli schemi della «vecchia» politica. Oltre che per le sue invettive generiche contro i burocrati e i politici corroti, Zelensky si caraterizza per tre punti programmatici distintivi: risolvere pacificamente il conflitto del Donbass, fermare l’isteria nazionalista anti-russa e combattere il potere degli oligarchi(74). In testa in tutti i sondaggi, l’attore trionfa sia al primo turno – dove ha un vantaggio su Poroshenko di ben quindici punti percentuali – sia al ballotaggio, nel quale arriva alla soglia record del 73% (75). Un simile suc- cesso si spiega con l’insoddisfazione dei citadini ucraini, stanchi della guerra e del nazionalismo aggressivo che avvelenano la vita politica del paese. Natural- mente un conto sono le aspetative degli eletori, un conto è la realtà dei fatti. Zelensky è sicuramente un «uomo nuovo», ma non è così lontano dai «poteri forti» come dice di essere: la sua stessa candidatura è sponsorizzata dall’oligar- ca Igor Kolomoisky, proprietario dell’emitente televisiva «1+1» che manda in onda la serie Servo del Popolo (76). I primi atti del nuovo Presidente sembrano indicare la volontà di andare verso una de-escalation del conflitto in Donbass: nel Setembre 2019, per esempio, viene negoziato con la Russia uno scambio di prigionieri, atto che sembra rappresen- tare il primo passo di un possibile percorso di distensione (77). Le cose cambiano nel corso del 2021, quando Zelensky modifca bruscamente i propri orientamen- ti di politica estera: annuncia di voler accellerare le tappe per l’adesione del pae- se alla NATO, e dichiara la volontà di riprendere la Crimea. Alla fine dell’Estate, il Presidente ucraino si reca in visita a Washington, per chiedere agli Stati Uniti l’ingresso dell’Ucraina nella NATO. La Casa Bianca promete aiuti militari consistenti (60 milioni di dollari), ma resta fredda sull’adesione all’Alleanza Atlanti- ca, probabilmente per non esacerbare le tensioni con Mosca(78). Dietro questa svolta di Zelensky c’è forse l’inquietudine per l’acuirsi delle ten- sioni tra il Cremlino e i paesi atlantici. Nel mese di Aprile la Russia ha già invia- to migliaia di soldati e di armamenti al confine con l’Ucraina, con una mossa che sembra preludere a una futura invasione(79). Nell’Estate la NATO promuove una imponente esercitazione militare sul Mar Nero, denominata «Sea Breeze 2021», in cui vengono coinvolti 30 paesi e ben 4.000 soldati (80). In risposta, Mosca organizza a Setembre una propria esercitazione militare in Crimea, mobilitan- do aerei da guerra, elicoteri e missili terra-aria (81). A Settembre, è ancora il Crem- lino a lanciare «Zapad-21», un insieme di manovre militari congiunte con la Bie- lorussia, che spingono la Polonia a dichiarare lo stato di emergenza (82). Questo clima di tensione non si placa nei mesi successivi, e culmina nell’invasione rus- sa del 24 Febbraio 2022. La Russia, la NATO o entrambe? Chi sono i responsabili dell’escalationAl termine di questa breve carrellata storica possiamo provare a tracciare unprimo bilancio e a delineare una provvisoria interpretazione di tutta la vicenda. Appare evidente che la Russia di Putin è la principale responsabile della pro- gressiva escalation del confitto: non solo per il fatto, ovvio, che nel 2022 è stata la Russia ad aggredire uno Stato sovrano, ma anche perché tute le possibili «giu- stifcazioni» o «attenuanti» che vengono spesso invocate per spiegare l’aggres- sione – il genocidio della minoranza russa, il golpe del 2014, i massacri del Don- bass, i fascisti al governo dell’Ucraina – si rivelano, alla prova dei fatti, del tuto inconsistenti e privi di riscontri. Come abbiamo cercato di mostrare fin qui, nel 2014 non si è verifcato nessun colpo di Stato, il genocidio dell’etnia russa è un’invenzione della propaganda, la guerra in Donbass è stata scatenata e con- dota anche e sopratuto da Mosca, e i «nazisti» sono difusi ed egemoni nelle re- pubbliche popolari di Donetsk e Luhansk forse più di quanto non lo siano a Kiev. Inoltre, ben lungi dall’essere il difensore di una minoranza discriminata, Putin ha contribuito a fomentare l’odio etnico in un paese da sempre multicul- turale e plurilingue. In questo scenario le autorità di Kiev non sono ovviamente immuni da responsabilità: il loro nazionalismo bellicista ha certo contribuito all’acuirsi della crisi, ma in una misura che non è in alcun modo paragonabile al ruolo giocato da Putin e dal Cremlino. Altretanto infondata è la tesi secondo cui Mosca si sarebbe mossa unicamente per «tutelarsi» dall’espansionismo della NATO, che negli ultimi anni si è allarga- ta fino ad entrare nel «cortile di casa» della Russia (accogliendo nelle sue fila molti paesi un tempo aderenti al Patto di Varsavia): che quello di Putin sia un imperialismo aggressivo e non (solo) difensivo è dimostrato dall’intervento in Siria, paese che non confna con la Russia e che certo non fa parte del suo «corti- le di casa»(83). Tutto ciò non signifca però che la NATO, e in generale le potenze occidentali, siano completamente estranee a questa vicenda. Anche dalla sommaria ricostru- zione che abbiamo proposto emerge che la politica interna di Kiev è stata forte- mente condizionata dagli interessi di attori internazionali come gli Stati Uniti, l’Unione Europea o l’Alleanza Atlantica. Altretanto evidente è il fatto che la NATO, nei decenni seguiti al crollo dell’Unione Sovietica, ha perseguito una po- litica espansionistica che l’ha portata a collidere con l’altra potenza ugualmente espansionistica, la Russia: oggi, lo scontro tra i due imperialismi rischia di preci- pitare il mondo nel baratro di una guerra nucleare. Tra l’altro, in Ucraina, le politiche di austerità imposte dal Fondo Monetario Internazionale – che è sostanzialmente un’emanazione dell’Occidente, benché ne facciano parte anche paesi come la Cina e la stessa Russia (84) – hanno impedito al paese di risollevarsi dalla crisi economica. Il progressivo indebitamento dello Stato ucraino, dovuto ai diktat dell’FMI, ha avuto conseguenze anche sull’evolu- zione degli eventi bellici: ha indotto ad esempio i governi di Kiev a intensifcare le azioni militari in Donbass, allo scopo di «tranquillizzare» i creditori interna- zionali circa la propria capacità di ripianare i debiti (le regioni a Est sono sem- pre state le più ricche del paese, le uniche in grado di garantire un adeguato fusso di ricchezza nelle casse dello Stato) (85). Se l’Ucraina non fosse stata al centro di un «grande gioco» tra le grandi poten- ze, forse avrebbe potuto sviluppare una propria politica di pace, di non bellige- ranza e di disarmo; e avrebbe potuto svolgere un ruolo di «cerniera» culturale e geo-politica tra l’Europa occidentale e il mondo euro-asiatico di lingua russa. Oggi il paese subisce un’aggressione feroce, e queste considerazioni possono forse apparire «fuori tempo massimo». Servono però, a modesto parere di chi scrive, per provare a sottrarsi alla logica dei blocchi, che impone di collocarsi senza sfumature da una parte o dall’altra della barricata: o per sostenere senza riserve la NATO e le grandi potenze occidentali, o per cercare delle «giustifca- zioni», delle «attenuanti», delle «ragioni» all’aggressione russa. In questa logica binaria, a rimanere stritolati sono proprio i citadini ucraini: quei citadini che a Maidan, in modo contradditorio e per alcuni aspeti ingenuo, avevano comin- ciato a prendere parola, a rivendicare il loro dirito di decidere sul futuro del paese. Sergio Bontempelli 4 Aprile 2022 |
Note al testo1 |