Con
la conversione in legge del D.L. 135/09 “Disposizioni urgenti per
l’attuazione di obblighi comunitari e per l’esecuzione di sentenze
della Corte di giustizia delle Comunità europee” il governo ha deciso
di procedere verso la mercificazione dei servizi pubblici locali. In
particolare, ad essere colpito da tale provvedimento sarà il servizio
idrico integrato ( SII ), ovvero l’insieme dei servizi di captazione,
adduzione e distribuzione d’acqua, di fognature e depurazione delle
acque reflue. La sostanza di tale provvedimento, che segue e modifica
la legge 133 del 6 agosto 2008, con cui il governo aveva già intrapreso
il cammino di privatizzazione dei SPL, consiste nella riduzione
dell’acqua da bene comune e diritto inalienabile a merce utile al
processo di accumulazione del capitale. Infatti, l’art.15 del D.L.
135/09 cancella in maniera pressoché definitiva l’ultima forma di
gestione che, sebbene imperfetta per ragioni che esporremo in seguito,
garantiva il mantenimento della proprietà e di un minimo controllo
pubblico del servizio, ovvero l’affidamento in-house a società di
capitali interamente pubbliche e soddisfacenti il requisito del
“controllo analogo”.
Al contrario, i modelli di gestione che
vengono indicati come ordinari, ovvero preferibili, sono l’affidamento
mediante gara oppure l’affidamento diretto a società miste
pubblico-private in cui il socio privato, individuato sempre mediante
gara, possegga almeno il 40 % del pacchetto azionario e sia socio
“industriale” ( ovvero svolga “specifici compiti operativi connessi
alla gestione del servizio”). In pratica, significa la gestione del
servizio idrico integrato da parte o di un’azienda privata vincitrice
della gara d’appalto o di un’azienda mista in cui però gli interessi,
le strategie e i profitti del socio privato prevarranno nettamente
sulle istanze pubbliche di qualità e universalità del servizio e di
tutela dell’acqua come bene comune.
Ad essere precisi, la
modalità in house non viene del tutto cancellata, ma di fatto il
ricorso ad essa diviene estremamente difficile poiché considerata in
deroga, ovvero straordinaria, subordinandone l’utilizzo a situazioni
eccezionali e sottoponendo comunque la decisione definitiva al vaglio
preventivo dell’autorità garante della concorrenza e del mercato, la
quale è preposta a giudicare la validità delle motivazioni addotte
dagli enti pubblici per giustificare il mancato ricorso ai modelli di
“mercato”.
Le ragioni per opporsi a questo provvedimento del
governo sono sterminate. In questo caso, possiamo innanzitutto esporre
alcune considerazioni di carattere generale per poi presentare degli
esempi specifici delle conseguenze negative determinate dai processi di
privatizzazione dell’acqua e dei servizi idrici. In primo luogo, è
necessario ribadire che pubblico e privato non sono semplicemente due
diversi strumenti per svolgere una medesima funzione, ma che, al
contrario, essi competono in merito all’obiettivo, ossia hanno
una missione e perseguono fini diversi: l’efficacia sociale il
pubblico, l’efficacia economica il privato. Mentre un gestore pubblico
( ed in questo caso per pubblico si intende non semplicemente “statale”
ma rispondente alle esigenze e alle istanze della cittadinanza e dei
lavoratori dei servizi di settore) deve porsi quali obiettivi
fondamentali l’accesso universale al servizio da parte dei cittadini,
la garanzia della qualità dell’acqua, la conservazione di tale bene
comune nel tempo a favore delle nuove generazioni ed infine la difesa
di buone condizioni lavorative per i propri dipendenti, un soggetto
privato chiamato a gestire il servizio idrico integrato si porrà come
obiettivo fondamentale la remunerazione del capitale investito e la
realizzazione di profitti. Ciò significa, in concreto, agire
utilizzando, alternativamente o in simbiosi, tre leve: l’aumento delle
tariffe, una minore manutenzione delle reti e degli impianti con
conseguente peggioramento della qualità del servizio, il taglio del
costo del lavoro mediante licenziamenti o ricorso a lavoro precario e
dequalificato.
Passando all’esame di alcuni casi concreti di
privatizzazione dell’acqua e dei servizi idrici, si può iniziare
citando l’esempio storico costituito dal Regno Unito. Alla fine degli
anni ‘80, nel Regno Unito si è proceduto alla trasformazione degli enti
pubblici in società private a cui è seguita la vendita alle
multinazionali del settore, le quali hanno registrato profitti al di
sopra di ogni previsione e distribuito dividendi superiori alle rendite
del mercato azionario senza che ne derivasse alcun beneficio per gli
utenti ( vedi il rapporto dello United Nations Development Program
2006, L’acqua tra potere e povertà, pag.128). In particolare, negli
otto anni successivi alla privatizzazione i profitti sono cresciuti del
142 % in termini reali grazie all’aumento medio del 40 % dei prezzi dei
servizi idrici e fognari in concomitanza con una forte riduzione del
costo del lavoro ottenuta per mezzo del licenziamento di 8599
lavoratori, pari al 21,5 % della forza lavoro del settore. Se ciò non
bastasse, la privatizzazione dell’acqua ha pure comportato un
peggioramento della qualità del servizio e della sua “sostenibilità
ambientale”, con dieci aziende giudicate colpevoli per violazioni di
leggi ambientali, un incremento esponenziale delle utenze tagliate per
morosità (18.636 casi solo nel 1994) e un netto peggioramento del
potere d’acquisto e del tenore di vita delle famiglie più povere, le
quali sono giunte a spendere solo per l’acqua fino al 4 % del proprio
budget familiare.
Un altro esempio interessante per comprendere
le conseguenze nefaste delle liberalizzazioni dei servizi idrici è la
Bolivia, dove la gestione privata da parte di una controllata della
multinazionale americana Bechtel ha portato ad aumenti delle tariffe
fino al 400 % e al conseguente scoppio della cosiddetta “guerra
dell’acqua”, mossa dalla popolazione povera più colpita dall’incremento
delle bollette e culminata vittoriosamente con la ripubblicizzazione
del servizio da parte del governo di Evo Morales.
In Francia,
dove coesistono gestioni pubbliche e gestioni private a seconda di
quale comune si prenda in considerazione, uno studio condotto
dall’Unione Consumatori ha mostrato come l’acqua erogata da enti
pubblici abbia mediamente una tariffa inferiore del 60 % a quella
erogata da aziende private.
Per quanto concerne l’Italia, vi
sono numerosi casi utili a documentare le conseguenze deleterie della
gestione privata dei servizi idrici.Uno di questi è costituito dalla
prima privatizzazione del SII realizzata in Italia nel 1999, allorché i
37 sindaci dell’ Ambito Territoriale Ottimale 4 toscano decisero di
affidare il servizio idrico alla società mista Nuove Acque s.p.a., a
capitale pubblico per il 54% e privato per il restante 46 % ( un
consorzio composto fra gli altri da Suez, Banca Mps, Banca Bpel..). A
dispetto del mantenimento della maggioranza pubblica, il potere di
indirizzo e di controllo pubblico venne smantellato a tal punto che le
tariffe registrarono un incremento medio in termini reali del 45% solo
per il 1999 e del 6,5 % in tutti gli anni successivi, relegando Arezzo
al vertice nella classifica nazionale del costo del servizio idrico.
Ciò fu possibile perché, fra le altre cose, i patti parasociali
costituivi della nuova società mista Nuove Acque s.p.a. conferivano al
socio privato di minoranza il potere di nomina dell’amministratore
delegato, il quale è dotato di fatto dei poteri di amministrazione
ordinaria e straordinaria dell’azienda.
Altro esempio molto
eloquente è quello dell’Ato 4 denominato Lazio meridionale-Latina, ove
la gestione della società mista Acqualatina s.p.a. ( 51% capitale
pubblico, 49 % privato, fra cui la francese Veolia; con amministratore
delegato di nomina del socio privato e dotato di forti poteri, sempre
come conseguenza dei patti parasociali) ha determinato incrementi
fortissimi delle tariffe, pari al 53% il primo anno e al 77 % in sei
anni ad Aprilia, al 28 e al 50 % rispettivamente nel primo anno ed in
sei anni a Latina.
Esiste inoltre un caso che evidenzia molto
bene come l’ingresso dei privati nella gestione del servizio idrico
determini delle scelte tanto orientate alla realizzazione di profitti
quanto incompatibili con una gestione sostenibile dell’acqua. A
Firenze, in seguito a campagne informative per il risparmio idrico e
l’uso oculato e coscienzioso dell’acqua, i comportamenti virtuosi della
cittadinanza hanno consentito una considerevole contrazione dei
consumi, pari a circa 13,8 milioni di mc di acqua: ciò ha determinato
una riduzione dei ricavi di Publiacqua s.p.a. ( la società mista che
gestisce il servizio idrico integrato) per circa 30 milioni di euro, al
quale la società ha rapidamente fatto fronte incrementando le tariffe
del 9,5 %. Questo esempio eclatante dimostra ancora una volta che la
privatizzazione dell’acqua non soltanto nuoce alle tasche dei
cittadini- ed in particolare a quelle delle classi più povere- ma
cancella la possibilità di una gestione responsabile e sostenibile di
un bene comune fondamentale per la sopravvivenza umana.
Esaurita
questa panoramica sugli effetti dell’appropriazione privata dell’acqua,
può essere utile mostrare quali sono gli attori che spingono
maggiormente per rendere i servizi idrici una fonte di business. In
questo caso, parliamo di un ampio novero di soggetti che va da
importantissime istituzioni sovranazionali, quali la Banca Mondiale ed
il Fondo Monetario Internazionale, a potenti imprese multinazionali
operanti nei settori dei servizi pubblici.
La Banca Mondiale ed
il Fondo Monetario Internazionale, istituzioni sorte nel 1944 in
seguito agli accordi di Bretton Woods, sono due dei principali
promotori tanto dei mercati dei servizi idrici quanto di una visione e
di una cultura dell’acqua come bisogno e bene economico.
Essenzialmente, queste due istituzioni sovranazionali esercitano una
forte pressione a favore della privatizzazione dell’acqua condizionando
l’erogazione di prestiti e finanziamenti alla liberalizzazione dei
servizi e alla deregolamentazione di tali segmenti di mercato.In
particolare, il FMI riesce a condizionare pesantemente le scelte
politiche dei governi dei paesi cosiddetti in via di sviluppo per mezzo
dei programmi di aggiustamento strutturale, grazie ai quali
l’erogazione di prestiti finalizzati alla costruzione di
infrastrutture, di apparati burocratici o al ripianamento del debito
sono subordinati a tagli della spesa pubblica destinata ai servizi
sanitari, educativi, scolastici, realizzabili solo attraverso la
svendita e privatizzazione di interi settori fra cui rientra pure
l’acqua.
Non è un caso dunque che al 31 marzo 2008 il Fmi
registrava prestiti in corso per 16,1 miliardi di dollari ripartiti fra
64 paesi, di cui 6,5 miliardi ( suddivisi fra 56 paesi ) sottoposti a
condizioni analoghe a quelle sopraelencate.
Passando alle
multinazionali, è doveroso in primo luogo chiarire come fra il 1990 ed
il 2000 il numero di persone servite da società private è passato da
circa 51 milioni a più di 300 ( secondo stime dello United Nations
Development Program ), con un incremento del 500 %. Tra le numerose
multinazionali che operano nel settore dell’acqua, le principali sono
francesi e si tratta della Veolia, della Suez e della Saur. Veolia e
Suez in particolari costituiscono dei veri e propri colossi, operanti
in tutti e 5 i continenti ( in 60 paesi Veolia, in 120 Suez ), dotati
rispettivamente di 82900 e 11600 dipendenti e con un giro di affari
prossimo ai 10,9 miliardi di euro per Veolia eau e a 1,9 miliardi di
euro per Lyonnaise des Eaux, la filiale del settore idrico di Suez.
Considerando
le cifre appena esposte, è facile comprendere il potere di pressione di
queste multinazionali quale conseguenza delle risorse
economico-finanziarie di cui dispongono: tanto più se si tiene presente
come secondo l’Economist vi siano almeno 79 stati, tutti paesi in via
di sviluppo, il cui Pil è inferiore alle entrate annuali di Veolia eau
(11 miliardi di euro).
A fronte di questo quadro assolutamente
allarmante circa le sorti del servizio idrico italiano in seguito
all’avvenuta privatizzazione, l’atteggiamento del Partito Democratico
tanto a livello nazionale quanto nei diversi contesti locali tradisce
la condivisione di posizioni di “liberismo più o meno temperato”
assolutamente incompatibili con le istanza dei movimenti per la
ripubblicizzazione dell’acqua e dei servizi idrici. Anche perché, è
bene ricordarlo, le amministrazioni locali di centro-sinistra sono
state le prime a sperimentare, ancora a partire dagli anni ‘90, forme
di gestione basate su società miste pubblico-private, soprattutto nelle
roccaforti toscane ed emiliane, con le conseguenze deleterie mostrate
in precedenza. Inoltre, le amministrazioni locali guidate dal PD hanno
avuto un ruolo estremamente rilevante nei processi di aggregazione
realizzatisi recentemente in Italia fra le ex municipalizzate e che
hanno portato alla nascita di possenti multiutilities come A2A ( nata
dalla fusione di Asm Brescia con Aem Milano), Acea s.p.a ( 51 %
capitale pubblico del comune di Roma; 49 % privato fra cui Suez e
l‘immobiliarista Caltagirone), Hera s.p.a. ( frutto della fusione di 13
ex municipalizzate emiliano romagnole, a cui sono seguite ulteriori
acquisizioni..) ed Iride s.p.a.( nata dalla fusione di Amga s.p.a.
Genova con Aem Torino). Perciò, la debole opposizione verbale e
parlamentare sostenuta dal Pd in occasione della conversione in legge
del D.L. 135/09 è pressoché in toto da imputare alla propria
collocazione all’opposizione, anziché a solide convinzioni
antiliberiste: siamo abbastanza sicuri infatti da poter dire che
qualora un provvedimento analogo ( vedi ad esempio il ddl 772
“Lanzillotta” nel corso della precedente legislatura, il governo Prodi)
fosse proposto da un ipotetico ministro del Pd, si riscontrerebbe una
scarsissima riluttanza all’ingresso dei privati nella gestione del
servizio idrico integrato.
Con riferimento specifico al contesto
locale mantovano, le dichiarazioni apparse in questi giorni sulla
stampa da parte di Ezio Zani, Presidente del consorzio dei 70 comuni
che compongono l’ambito territoriale ottimale mantovano nonché
assessore provinciale del Pd, esplicitano la chiara volontà politica di
unificare i 5 diversi gestori operanti attualmente all’interno dell’Ato
per poi procedere alla cessione di un’importante quota azionaria
tramite gara, dando così vita ad una società mista in cui il socio
privato deterrebbe un fortissimo potere decisionale e strategico.
Dunque
anche a livello locale si riconferma la scelta del Partito democratico
di costituire il principale “alfiere” e zelante attuatore delle
politiche neoliberiste e privatizzatrici approvate dal governo
nazionale formato da Pdl e Lega.
Di fronte all’avanzare
inarrestabile del processo di privatizzazione dell’acqua e del servizio
idrico è necessario rilanciare quanto prima le mobilitazioni affinché
la natura pubblica e l’estraneità a qualsiasi logica di profitto di un
bene comune fondamentale per l’umanità quale è l’acqua sia ribadita,
preservata e riaffermata.
Ciò significa concretamente non
soltanto bloccare la messa a gara della gestione del servizio idrico ma
fuoriuscire quanto prima dalla dimensione aberrante, mercantile ed
antidemocratica della gestione del SII tramite società di capitali ed
enti di diritto privato poiché essi, oltre a costituire strumenti di
gestione strutturalmente orientati alla realizzazione di utili,
impediscono l’esercizio di un controllo autenticamente democratico da
parte dei cittadini e dei loro rappresentanti.
a cura di Sinistra Critica Mantova