30 novembre 2009
Fino all’ultima goccia


Con la conversione in legge del D.L. 135/09 “Disposizioni urgenti per l’attuazione di obblighi comunitari e per l’esecuzione di sentenze della Corte di giustizia delle Comunità europee” il governo ha deciso di procedere verso la mercificazione dei servizi pubblici locali. In particolare, ad essere colpito da tale provvedimento sarà il servizio idrico integrato ( SII ), ovvero l’insieme dei servizi di captazione, adduzione e distribuzione d’acqua, di fognature e depurazione delle acque reflue. La sostanza di tale provvedimento, che segue e modifica la legge 133 del 6 agosto 2008, con cui il governo aveva già intrapreso il cammino di privatizzazione dei SPL, consiste nella riduzione dell’acqua da bene comune e diritto inalienabile a merce utile al processo di accumulazione del capitale. Infatti, l’art.15 del D.L. 135/09 cancella in maniera pressoché definitiva l’ultima forma di gestione che, sebbene imperfetta per ragioni che esporremo in seguito, garantiva il mantenimento della proprietà e di un minimo controllo pubblico del servizio, ovvero l’affidamento in-house a società di capitali interamente pubbliche e soddisfacenti il requisito del “controllo analogo”.

Al contrario, i modelli di gestione che vengono indicati come ordinari, ovvero preferibili, sono l’affidamento mediante gara oppure l’affidamento diretto a società miste pubblico-private in cui il socio privato, individuato sempre mediante gara, possegga almeno il 40 % del pacchetto azionario e sia socio “industriale” ( ovvero svolga “specifici compiti operativi connessi alla gestione del servizio”). In pratica, significa la gestione del servizio idrico integrato da parte o di un’azienda privata vincitrice della gara d’appalto o di un’azienda mista in cui però gli interessi, le strategie e i profitti del socio privato prevarranno nettamente sulle istanze pubbliche di qualità e universalità del servizio e di tutela dell’acqua come bene comune.

Ad essere precisi, la modalità in house non viene del tutto cancellata, ma di fatto il ricorso ad essa diviene estremamente difficile poiché considerata in deroga, ovvero straordinaria, subordinandone l’utilizzo a situazioni eccezionali e sottoponendo comunque la decisione definitiva al vaglio preventivo dell’autorità garante della concorrenza e del mercato, la quale è preposta a giudicare la validità delle motivazioni addotte dagli enti pubblici per giustificare il mancato ricorso ai modelli di “mercato”.

Le ragioni per opporsi a questo provvedimento del governo sono sterminate. In questo caso, possiamo innanzitutto esporre alcune considerazioni di carattere generale per poi presentare degli esempi specifici delle conseguenze negative determinate dai processi di privatizzazione dell’acqua e dei servizi idrici. In primo luogo, è necessario ribadire che pubblico e privato non sono semplicemente due diversi strumenti per svolgere una medesima funzione, ma che, al contrario,  essi competono in merito all’obiettivo, ossia hanno una missione e perseguono fini diversi: l’efficacia sociale il pubblico, l’efficacia economica il privato. Mentre un gestore pubblico ( ed in questo caso per pubblico si intende non semplicemente “statale” ma rispondente alle esigenze e alle istanze della cittadinanza e dei lavoratori dei servizi di settore) deve porsi quali obiettivi fondamentali l’accesso universale al servizio da parte dei cittadini, la garanzia della qualità dell’acqua, la conservazione di tale bene comune nel tempo a favore delle nuove generazioni ed infine la difesa di buone condizioni lavorative per i propri dipendenti, un soggetto privato chiamato a gestire il servizio idrico integrato si porrà come obiettivo fondamentale la remunerazione del capitale investito e la realizzazione di profitti. Ciò significa, in concreto, agire utilizzando, alternativamente o in simbiosi, tre leve: l’aumento delle tariffe, una minore manutenzione delle reti e degli impianti con conseguente peggioramento della qualità del servizio, il taglio del costo del lavoro mediante licenziamenti o ricorso a lavoro precario e dequalificato.

Passando all’esame di alcuni casi concreti di privatizzazione dell’acqua e dei servizi idrici, si può iniziare citando l’esempio storico costituito dal Regno Unito. Alla fine degli anni ‘80, nel Regno Unito si è proceduto alla trasformazione degli enti pubblici in società private a cui è seguita la vendita alle multinazionali del settore, le quali hanno registrato profitti al di sopra di ogni previsione e distribuito dividendi superiori alle rendite del mercato azionario senza che ne derivasse alcun beneficio per gli utenti ( vedi il rapporto dello United Nations Development Program 2006, L’acqua tra potere e povertà, pag.128). In particolare, negli otto anni successivi alla privatizzazione i profitti sono cresciuti del 142 % in termini reali grazie all’aumento medio del 40 % dei prezzi dei servizi idrici e fognari in concomitanza con una forte riduzione del costo del lavoro ottenuta per mezzo del licenziamento di 8599 lavoratori, pari al 21,5 % della forza lavoro del settore. Se ciò non bastasse, la privatizzazione dell’acqua ha pure comportato un peggioramento della qualità del servizio e della sua “sostenibilità ambientale”, con dieci aziende giudicate colpevoli per violazioni di leggi ambientali, un incremento esponenziale delle utenze tagliate per morosità (18.636 casi solo nel 1994) e un netto peggioramento del potere d’acquisto e del tenore di vita delle famiglie più povere, le quali sono giunte a spendere solo per l’acqua fino al 4 % del proprio budget familiare.

Un altro esempio interessante per comprendere le conseguenze nefaste delle liberalizzazioni dei servizi idrici è la Bolivia, dove la gestione privata da parte di una controllata della multinazionale americana Bechtel ha portato ad aumenti delle tariffe fino al 400 % e al conseguente scoppio della cosiddetta “guerra dell’acqua”, mossa dalla popolazione povera più colpita dall’incremento delle bollette e culminata vittoriosamente con la ripubblicizzazione del servizio da parte del governo di Evo Morales.

In Francia, dove coesistono gestioni pubbliche e gestioni private a seconda di quale comune si prenda in considerazione, uno studio condotto dall’Unione Consumatori ha mostrato come l’acqua erogata da enti pubblici abbia mediamente una tariffa inferiore del 60 % a quella erogata da aziende private.

Per quanto concerne l’Italia, vi sono numerosi casi utili a documentare le conseguenze deleterie della gestione privata dei servizi idrici.Uno di questi è costituito dalla prima privatizzazione del SII realizzata in Italia nel 1999, allorché i 37 sindaci dell’ Ambito Territoriale Ottimale 4 toscano decisero di affidare il servizio idrico alla società mista Nuove Acque s.p.a., a capitale pubblico per il 54% e privato per il restante 46 % ( un consorzio composto fra gli altri da Suez, Banca Mps, Banca Bpel..). A dispetto del mantenimento della maggioranza pubblica, il potere di indirizzo e di controllo pubblico venne smantellato a tal punto che le tariffe registrarono un incremento medio in termini reali del 45% solo per il 1999 e del 6,5 % in tutti gli anni successivi, relegando Arezzo al vertice nella classifica nazionale del costo del servizio idrico. Ciò fu possibile perché, fra le altre cose, i patti parasociali costituivi della nuova società mista Nuove Acque s.p.a. conferivano al socio privato di minoranza il potere di nomina dell’amministratore delegato, il quale è dotato di fatto dei poteri di amministrazione ordinaria e straordinaria dell’azienda.

Altro esempio molto eloquente è quello dell’Ato 4 denominato Lazio meridionale-Latina, ove la gestione della società mista Acqualatina s.p.a. ( 51% capitale pubblico, 49 % privato, fra cui la francese Veolia; con amministratore delegato di nomina del socio privato e dotato di forti poteri, sempre come conseguenza dei patti parasociali) ha determinato incrementi fortissimi delle tariffe, pari al 53% il primo anno e al 77 % in sei anni ad Aprilia, al 28 e al 50 % rispettivamente nel primo anno ed in sei anni a Latina.

Esiste inoltre un caso che evidenzia molto bene come l’ingresso dei privati nella gestione del servizio idrico determini delle scelte tanto orientate alla realizzazione di profitti quanto incompatibili con una gestione sostenibile dell’acqua. A Firenze, in seguito a campagne informative per il risparmio idrico e l’uso oculato e coscienzioso dell’acqua, i comportamenti virtuosi della cittadinanza hanno consentito una considerevole contrazione dei consumi, pari a circa 13,8 milioni di mc di acqua: ciò ha determinato una riduzione dei ricavi di Publiacqua s.p.a. ( la società mista che gestisce il servizio idrico integrato) per circa 30 milioni di euro, al quale la società ha rapidamente fatto fronte incrementando le tariffe del 9,5 %. Questo esempio eclatante dimostra ancora una volta che la privatizzazione dell’acqua non soltanto nuoce alle tasche dei cittadini- ed in particolare a quelle delle classi più povere- ma cancella la possibilità di una gestione responsabile e sostenibile di un bene comune fondamentale per la sopravvivenza umana.

Esaurita questa panoramica sugli effetti dell’appropriazione privata dell’acqua, può essere utile mostrare quali sono gli attori che spingono maggiormente per rendere i servizi idrici una fonte di business. In questo caso, parliamo di un ampio novero di soggetti che va da importantissime istituzioni sovranazionali, quali la Banca Mondiale ed il Fondo Monetario Internazionale, a potenti imprese multinazionali operanti nei settori dei servizi pubblici.

La Banca Mondiale ed il Fondo Monetario Internazionale, istituzioni sorte nel 1944 in seguito agli accordi di Bretton Woods, sono due dei principali promotori tanto dei mercati dei servizi idrici quanto di una visione e di una cultura dell’acqua come bisogno e bene economico. Essenzialmente, queste due istituzioni sovranazionali esercitano una forte pressione a favore della privatizzazione dell’acqua condizionando l’erogazione di prestiti e finanziamenti alla liberalizzazione dei servizi e alla deregolamentazione di tali segmenti di mercato.In particolare, il FMI riesce a condizionare pesantemente le scelte politiche dei governi dei paesi cosiddetti in via di sviluppo per mezzo dei programmi di aggiustamento strutturale, grazie ai quali l’erogazione di prestiti finalizzati alla costruzione di infrastrutture, di apparati burocratici o al ripianamento del debito sono subordinati a tagli della spesa pubblica destinata ai servizi sanitari, educativi, scolastici, realizzabili solo attraverso la svendita e privatizzazione di interi settori fra cui rientra pure l’acqua.

Non è un caso dunque che al 31 marzo 2008 il Fmi registrava prestiti in corso per 16,1 miliardi di dollari ripartiti fra 64 paesi, di cui 6,5 miliardi ( suddivisi fra 56 paesi ) sottoposti a condizioni analoghe a quelle sopraelencate.

Passando alle multinazionali, è doveroso in primo luogo chiarire come fra il 1990 ed il 2000 il numero di persone servite da società private è passato da circa 51 milioni a più di 300 ( secondo stime dello United Nations Development Program ), con un incremento del 500 %. Tra le numerose multinazionali che operano nel settore dell’acqua, le principali sono francesi e si tratta della Veolia, della Suez e della Saur. Veolia e Suez in particolari costituiscono dei veri e propri colossi, operanti in tutti e 5 i continenti ( in 60 paesi Veolia, in 120 Suez ), dotati rispettivamente di 82900 e 11600 dipendenti e con un giro di affari prossimo ai 10,9 miliardi di euro per Veolia eau e a 1,9 miliardi di euro per Lyonnaise des Eaux, la filiale del settore idrico di Suez.

Considerando le cifre appena esposte, è facile comprendere il potere di pressione di queste multinazionali quale conseguenza delle risorse economico-finanziarie di cui dispongono: tanto più se si tiene presente come secondo l’Economist vi siano almeno 79 stati, tutti paesi in via di sviluppo, il cui Pil è inferiore alle entrate annuali di Veolia eau (11 miliardi di euro).

A fronte di questo quadro assolutamente allarmante circa le sorti del servizio idrico italiano in seguito all’avvenuta privatizzazione, l’atteggiamento del Partito Democratico tanto a livello nazionale quanto nei diversi contesti locali tradisce la condivisione di posizioni di “liberismo  più o meno temperato” assolutamente incompatibili con le istanza dei movimenti per la ripubblicizzazione dell’acqua e dei servizi idrici. Anche perché, è bene ricordarlo, le amministrazioni locali di centro-sinistra sono state le prime a sperimentare, ancora a partire dagli anni ‘90, forme di gestione basate su società miste pubblico-private, soprattutto nelle roccaforti toscane ed emiliane, con le conseguenze deleterie mostrate in precedenza. Inoltre, le amministrazioni locali guidate dal PD hanno avuto un ruolo estremamente rilevante nei processi di aggregazione realizzatisi recentemente in Italia fra le ex municipalizzate e che hanno portato alla nascita di possenti multiutilities come A2A ( nata dalla fusione di Asm Brescia con Aem Milano), Acea s.p.a ( 51 % capitale pubblico del comune di Roma; 49 % privato fra cui Suez e l‘immobiliarista Caltagirone), Hera s.p.a. ( frutto della fusione di 13 ex municipalizzate emiliano romagnole, a cui sono seguite ulteriori acquisizioni..) ed Iride s.p.a.( nata dalla fusione di Amga s.p.a. Genova con Aem Torino). Perciò, la debole opposizione verbale e parlamentare sostenuta dal Pd in occasione della conversione in legge del D.L. 135/09 è pressoché in toto da imputare alla propria collocazione all’opposizione, anziché a solide convinzioni antiliberiste: siamo abbastanza sicuri infatti da poter dire che qualora un provvedimento analogo ( vedi ad esempio il ddl 772 “Lanzillotta” nel corso della precedente legislatura, il governo Prodi) fosse proposto da un ipotetico ministro del Pd, si riscontrerebbe una scarsissima riluttanza all’ingresso dei privati nella gestione del servizio idrico integrato.

Con riferimento specifico al contesto locale mantovano, le dichiarazioni apparse in questi giorni sulla stampa da parte di Ezio Zani, Presidente del consorzio dei 70 comuni che compongono l’ambito territoriale ottimale mantovano nonché assessore provinciale del Pd, esplicitano la chiara volontà politica di unificare i 5 diversi gestori operanti attualmente all’interno dell’Ato per poi procedere alla cessione di un’importante quota azionaria tramite gara, dando così vita ad una società mista in cui il socio privato deterrebbe un fortissimo potere decisionale e strategico.

Dunque anche a livello locale si riconferma la scelta del Partito democratico di costituire il principale “alfiere” e zelante attuatore delle politiche neoliberiste e privatizzatrici approvate dal governo nazionale formato da Pdl e Lega.

Di fronte all’avanzare inarrestabile del processo di privatizzazione dell’acqua e del servizio idrico è necessario rilanciare quanto prima le mobilitazioni affinché la natura pubblica e l’estraneità a qualsiasi logica di profitto di un bene comune fondamentale per l’umanità quale è l’acqua sia ribadita, preservata e riaffermata.

Ciò significa concretamente non soltanto bloccare la messa a gara della gestione del servizio idrico ma fuoriuscire quanto prima dalla dimensione aberrante, mercantile ed antidemocratica della gestione del SII tramite società di capitali ed enti di diritto privato poiché essi, oltre a costituire strumenti di gestione strutturalmente orientati alla realizzazione di utili, impediscono l’esercizio di un controllo autenticamente democratico da parte dei cittadini e dei loro rappresentanti.

a cura di Sinistra Critica Mantova