Pubblichiamo la testimonianza di una compagna venezuelana che vive in Francia, ma che nei giorno precedenti e successivi delle elezioni del 28 luglio si trovava in Venezuela. |
"Tutti sanno cosa è successo". Per un approccio di sinistra alle elezioni in VenezuelaYoletty Bracho |
Yoletty Bracho, attivista e ricercatrice venezuelana vive in Francia, ha dedicato la sua ricerca al rapporto tra le organizzazioni dei distretti della classe operaia e lo stato emerso dalla rivoluzione bolivariana. Presente in Venezuela nelle settimane che hanno portato alle elezioni, ha potuto incontrare i rappresentanti di varie componenti della sinistra e del chavismo. Riporta qui le sue impressioni circa la situazione attuale e lo svolgimento delle elezioni, basandosi sulle testimonianze raccolte e chiede solidarietà internazionalista con il popolo venezuelano. |
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“Tutti sanno cosa è successo” è la frase che era in bocca ai venezuelani passata la mezzanotte dopo che i risultati delle elezioni presidenziali del 28 luglio erano stati annunciati Il 29 luglio abbiamo appreso attraverso Elvis Amoroso, presidente del Consiglio Elettorale Nazionale (CNE), che Nicolas Maduro Moros, presidente della Repubblica, aveva vinto con il 51,2% dei voti espressi, lasciandosi alle spalle il tradizionale candidato dell’opposizione, Edmundo Gonzalez Urrutia, che avrebbe ottenuto il 44,2% dei voti. Ma questo annuncio contraddiceva una serie di indizi che sembravano dire il contrario: poiché nei vecchi bastioni del chavismo, specialmente nei quartieri urbani della classe operaia, sembravano emergere nel corso della giornata elettorale risultati sfavorevoli di Nicholas Maduro. Che cosa è successo? Cosa possiamo pensare di queste ultime elezioni presidenziali venezuelane noi di sinistra? E come possiamo immaginare un’uscita positiva che rispetti la democrazia e i voti espressi dai venezuelani?
Dubbi e demoralizzazione: le sinistre divise sotto il carico madurista
Affermare di essere di sinistra in Venezuela e opporsi al governo di Nicolas Maduro non è un’impresa da poco. Così, le testimonianze che ho potuto raccogliere durante un mese di scambi con i vari rappresentanti della sinistra, comprese le persone che ancora si richiamano al chavismo, mostrano la difficoltà di organizzarsi quando si è l’obiettivo della repressione politica e sociale del governo. Questo è tanto più evidente nel periodo elettorale. Un ex ministro del Chavismo una volta mi ha detto: “È sconcertante che la destra abbia potuto avere il suo candidato, mentre siamo noi di sinistra a non essere autorizzati ad avere un candidato. Non abbiamo alcuna rappresentanza in queste elezioni”(1). In effetti, molti mi hanno espresso le loro preoccupazioni circa la decisione da prendere il giorno delle elezioni. Per questi attivisti di sinistra, membri di organizzazioni popolari, molti dei quali erano anche intermediari di azione pubblica sotto i governi chavisti, si è posta la questione se andare a votare o meno il 28 luglio. D’altro canto un voto a favore di Edmundo Gonzalez Urrutia sembrava impossibile. Era assolutamente fuori questione che queste persone dessero il voto al prestanome di Maria Corina Machado, leader di un’opposizione tradizionale che in passato è arrivata a stringere alleanze con figure ripugnanti come Donald Trump, Jair Bolsonaro e Javier Milei. Ma come andare a votare per Maduro Nicolas? Colui che per anni ha cacciato dal governo i compnenti più di sinistra. Quello che ha gestito la crisi economica facendo pagare ai più poveri l’onere della corruzione all’interno della compagnia petrolifera di stato e le conseguenze delle sanzioni economiche statunitensi. Colui che ha represso le classi popolari durante le Operazioni di Liberazione del Popolo (OLP), dal 2015 al 2017, causando migliaia di vittime tra giovani e neri dei quartieri (2). No, non era possibile. Quindi, per alcuni di questi attivisti, l'unica opzione sembrava essere l'astensione. Una soluzione che contrastava con anni di campagne per il voto al chavismo presentato come strumento politico idoneo a tutti gli effetti a regolare i conflitti tra i venezuelani. C’era anche qualche opinione divergente: tra le persone con cui ho potuto parlare, una diceva di voler votare Gonzalez Urrutia per dare un alt a Maduro. Un altro diceva che era suo dovere Chavista votare a favore dell’opposizione, per dimostrare al Presidente al potere che non rappresenta più gli ideali di questa corrente politica. C’erano ancora altre opzioni: tra le forze sindacali, trotskiste o comuniste che hanno avuto relazioni più o meno strette con il chavismo, il voto nullo che sembrava guadagnare terreno. Tale opzione richiedeva un piccolo sforzo tecnico da parte degli elettori. Non dimentichiamo che in Venezuela il voto è elettronico. Viene effettuata da macchine installate nei seggi elettorali, che allo stesso tempo trasmettono i voti al Consiglio Elettorale Nazionale (CNE) ed emettono una ricevuta di voto che viene depositata in un'urna. L’unico modo per ottenere un voto nullo consiste nell’avviare il processo di voto sul touch screen, aspettare un totale di tre minuti e raccogliere una ricevuta di “voto nullo”. La macchina non ha un'opzione esplicita che permetta di esprimere questa scelta.
Ma al di là della scelta elettorale, la questione di fondo che si pone è quella dell’organizzazione plurale e unitaria della sinistra di opposizione al governo di Maduro. Divisa tra partiti politici, sindacati, movimenti sociali e altri spazi collettivi (think-tank, riviste letterarie, ecc.), la convergenza delle lotte sembrava difficile prima delle elezioni quando ogni realtà rimproveva alle altre le posizioni divergenti rispetto alla storia della Rivoluzione Bolivariana. Le questioni terminologiche diventano questioni strategiche centrali: in un Assemblea Generale che ha cercato di costruire un'alleanza tra le organizzazioni per il periodo post-elettorale, è stato sorprendente che alcune parole uscissero dal vocabolario comune. Non si è parlato più di “potere popolare”, “popolo”, ma e venuto fuori un linguaggio ruiferito a “lavoratori” e ai “patti d’élite”. Questo può essere considerato sorta di vittoria da parte delle forze sindacali e dei partiti di quella parte del trotskismo che può vantarsi di non aver mai aderito ai ranghi chavisti. In questo contesto, un noto militante e ricercatore che lavora sulla questione della violenza nei quartieri popolari, mi diceva: “Sarà il periodo post-elettorale che ci riunirà. Pochi giorni prima delle elezioni (19 luglio), potevamo ancora discutere del recupero della compagnia petrolifera riaffidandola a cooperative di lavoratori, o della nazionalizzazione di cliniche private ... ma dopo le elezioni sapremo se ci sarà lo spazio politico necessario per lottare per i nostri diritti sociali e collettivi, o se invece dovremo lottare semplicemente per il diritto di esistere politicamente. Questa opinione collima con quella di un leader di un’organizzazione che, su larga scala, difende il diritto alla casa delle classi meno abbienti: “Nicolas non può vincere. Non ha i voti. E se Nicholas vince le elezioni con la forza, non ci resterà altro che difendere la nostra possibilità di fare politica”. Secondo quanto emerge dalle discussioni e dalle dichiarazioni politiche degli stessi attori dopo le elezioni, sembra che sia questaseconda opzione a guadagnare terreno.
28 luglio: fine della democrazia rivoluzionaria?
Il giorno prima delle elezioni sono andata a trovare i leader della comunità in un quartiere popolare nella parte occidentale di Caracas, bastione storico del chavismo. Le loro posizioni in relazione a quelle esposte un mese prima erano cambiate. Erano convinti che la “maquinaria elettorale”, cioè il sistema di mobilitazione elettorale del chavismo potesse prevalere. Dopo un mese di discussioni con diversi settori delle sinistre venezuelane, era la prima volta che sentivo una tale opinione. Ancora più sorprendente, una militante chavista mi ha detto: “E anche se non vinciamo, dobbiamo vincere. Il pericolo è troppo grande”. In effetti la paura si sta diffondendo tra le persone provenienti dalle classi popolari e identificate nei loro quartieri come militanti chavisti, per ciò che potrebbe accadere se l'opposizione tradizionale vincesse. Infatti c’è un’altra frase che gira per le strade di Caracas e nei social network: “ahora vamos ha cobrar” (faremo loro pagare ciò che ci è dovuto). L’opposizione tradizionale sembra riferirsi a quella che vedono come una nuova strategia che dovrebbe metterli in condizione di attribuirsi queste elezioni, obbiettivo che non riuscì a Henrique Capriles Radonski nel 2013 contro Nicolas Maduro, dopo un’elezione che le destre continuano a considerare rubata, anche se l’audit del CNE di fatto confermato la vittoria di Maduro. Ma psecondo gli attivisti storici del Chavismo il termine “cobrar” ha un significato differente e si riferirebbe invece ad aggressioni materiali e fisiche ai loro luoghi di vita, alla loro agibilità politica, a loro stessi e alle loro famiglie. Una nota ricercatrice che partecipa da anni agli sforzi di negoziazione in Venezuela comprende queste paure. “Purtroppo, il discorso della parte più radicale dell’opposizione tradizionale non rassicura i Chavisti, cosa che impedisce il progresso delle trattative anche nelle più alte istanze negoziali”.
Il 28 luglio, giorno delle elezioni, Caracas e tutto il paese erano tranquilli. Nonostante alcune irregolarità segnalate durante l’installazione di seggi elettorali, i venezuelani si sono messi in fila dalla notte prima. Non c’era traccia della “festa delle elezioni” come storicamente vantato dal chavismo. In questo paese, dove il giorno delle votazioni era sempre stato un momento di grandi movimenti, di mobilitazione cittadina, di riunioni di familiari, di amici e di militanti, questa volta tutto sembrava stranamente calmo, certamente troppo calmo. È difficile trovare persone con cui trascorrere la giornata e attendere i risultati, tranne le riunioni chiuse organizzate dalle ONG nei loro locali per vegliare sullo svolgimento tecnico delle elezioni. Ad est di Caracas, in un quartiere della classe medio-alta, le assenze si fanno sentire: le generazioni più anziane vanno a votare, ma i loro giovani che da anni vivono all’estero non sono presenti. Ma ora che i venezuelani che vivono all’estero sono saliti a più di 7 milioni, vale a dire un terzo della popolazione venezuelana, sono i quartieri popolari che stanno perdendo le loro generazioni intermedie.
L’annuncio dei risultati arriva tardi. Molto tardi. Il 29 luglio. Questo non è anomalo di per sé, ma semina il dubbio. Dalla fine del pomeriggio al momento della chiusura dei seggi elettorali, si capisce da varie testimonianze che i risultati non vengono trasmessi al CNE, o ancora che gli scrutatori autorizzati dallo stesso consiglio e che rappresentano i partiti politici incontrano difficoltà nell’ottenere i verbali dei risultati nei rispettivi seggi elettorali. Inoltre, apprendiamo da fonti diverse che ai rappresentanti di Gonzalez Urrutia è vietato entrare nell'ufficio di conteggio complessivo del CNE, dove i risultati generali delle elezioni vengono stampati e convalidati dai membri del Consiglio e dai rappresentanti dei partiti politici. Passata mezzanotte, il presidente del CNE annuncia la vittoria di Nicolás Maduro, dopo aver denunciato un attacco terroristico contro il sistema di trasmissione dei risultati. Un attacco che si è potuto respingere, permettendo quindi all’autorità elettorale di fornire risultati dopo aver, secondo le loro affermazioni, acquisito l’80% dei verbali dai seggi elettorali. In Venezuela, solo il CNE ha il diritto di annunciare i risultati. Questi vengono annunciati quando è dimostrata la cosiddetta “tendenza irreversibile”, cioè un risultato che non può cambiare neppure dopo l’arrivo dei dati mancanti. Ora la differenza annunciata da Amoroso tra Maduro e Gonzalez era di 700.000 voti, il 20% dei voti mancanti consiste in più di 2 milioni di voti, quindi la reversibilità dei risultati era ancora matematicamente possibile. Per di più le testimonianze dei seggi elettorali, così come la successiva mobilitazione popolare, dicono molto.
Mobilitazione popolare e dei cittadini: la democrazia di fronte alla repressione
Il 29 luglio alle 7 Caracas era ancora addormentata. Attraversando la città da ovest a est, mi sorprende constatare quanto sia deserta, mentre di solito la capitale si sveglia all’alb, tra le 5:30 e le 6 mattino. Poche ore prima, un'amica militante ecologista e femminista si preoccupava: "Altri sei anni così sono troppi. Che cosa potremo fare?” (3). Lei e sua madre, hanno lavorato in passato al CNE e non riescono a spiegarsi il cosiddetto attacco terroristico. Secondo la loro esperienza, un tale evento non è possibile. Ma ancora più importanti, sono le conclusioni che trae questa militantein lotta per l’ecofemminismo in un paese produttore di petrolio e dove il diritto all’aborto è ancora ostacolato dalla legge: “L’unica cosa di cui mi fidavo ancora era il sistema elettorale. È come con gli apagones (le interruzioni di corrente generalizzate che sono avvenute nel 2019), quando sarebbe stata era un iguana a causare tutto (4). Anche ora non abbiamo spiegazioni convincenti, ma solo dichiarazioni che dobbiamo accettare sulla parola.
Se alle 7 tutto era tranquillo, poche ore dopo che la città iniziava a muoversi. E non solo iniziava a muoversi Caracas, ma anche il resto del paese. Una sollevazione popolare si riversa nelle strade. I Cacerolazos (concerti di pentole) si trasformano in mobilitazioni di strada. Queste manifestazioni vanno oltre le organizzazioni politiche, oltre la divisione binaria che è stata storicamente al centro delle analisi sul Venezuela. Donne e uomini delle classi popolari, che sono stati senza alcun dubbio sostenitori del chavismo, scendono in piazza e chiedono rispetto per il loro voto e per il loro diritto di vivere in democrazia. Queste mobilitazioni non sono teleguidate dalla destra venezuelana o dall’imperialismo statunitense. Sotto molti aspetti vanno oltre, e i leader dell'opposizione tradizionale hanno grandi difficoltà a incanalarle. La stessa difficoltà davanti alla quale si ritrova il chavismo del governo, la cui risposta diventa molto rapidamente quella della repressione. In soli tre giorni, più di mille persone vengono imprigionate. Si contano più di 20 morti e dispersi. Maduro ha annunciato la creazione di nuove carceri di alta sicurezza, che includerebbero il lavoro forzato e la riabilitazione "come all’epoca"(6). Riferendosi con “all’epoca” all’ultima dittatura militare del XX secolo, quella di Marcos Pérez Jiménez, durante la quale, come ricorda lo stesso presidente attuale del Venezuela nel suo discorso, mise i prigionieri a lavorare per la costruzione di strade. “Che vadano costruire strade”, dice. Tra i miei conoscenti c’è una ricercatrice che ospita una donna il cui figlio è stato vittima delle Operazioni di Liberazione del Popolo (OLP) e che ha fatto la scrutatrice (7) nel proprio seggio elettorale. Le forze dell’ordine rastrellano gli scrutatoti nei quartieri e li portano nei centri di detenzione. Le testimonianze di episodi di repressione, di controlli da parte delle forze dell’ordine e delle organizzazioni paramilitari nei quartieri da cui sono partite le manifestazioni si stanno moltiplicando. Stiamo assistendo alla criminalizzazione della rivolta popolare e alla sua inesorabile repressione.
Uscire positivamente dalla situazione attraverso la diplomazia latino-americana e la solidarietà internazionalista.
Il conflitto politico venezuelano è condizionato da attori internazionali diversi. L’attenzione della diplomazia latinoamericana è basilare. Paesi guidati da sinistra come Brasile, Colombia e Messico hanno interpellato il governo Maduro con una dichiarazione in cui si chiede un audit pubblico sui voti espressi il 28 luglio, unico strumento istituzionale che permetterebbe di costruire una soluzione sovrana ed equilibrata alle tensioni, ai dubbi e alla repressione che gravano sul popolo venezuelano. Ben lungi dalle affermazioni di Anthony Blinken, che dagli Stati Uniti ha riconosciuto immediatamente Gonzalez Urrutia come il vincitore delle elezioni e ha causato ancora più tensione, la diplomazia latinoamericana stava lavorando duramente per mantenere aperti i canali di dialogo con le parti coinvolte nel conflitto e sta cercando di intavolare negoziati tra di loro.
La sinistra internazionale, in particolare quella francese, può fare la sua parte. I nostri compagni, così come il popolo venezuelano nel suo complesso, hanno bisogno del nostro sostegno. L'appello al rispetto della democrazia è forse lo strumento migliore per andare avanti in questa situazione. “Tutti sanno cosa è successo”, compresi i nostri compagni che ora stanno cercando di costruire uno spazio politico degno di questo nome. Lo dobbiamo alle lotte popolari di cui sono le voci.
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note
(1) parafrasi dell’autrice: In generale, la situazione politica in Venezuela impedisce la registrazione di interviste per motivi di sicurezza sia per l’intervistatore che per l’intervistato.
(2) Si tratta di un programma di sicurezza istituito dal governo Maduro, che ha assunto la forma di interventi militarizzati dalle forze di sicurezza speciali (FAES), una forza di polizia i cui membri mascherati intervengono nei quartieri in cerca dei cosiddetti criminali. Il lavoro sul campo, sia quantitativo che qualitativo, mostra che questi OLP sono responsabili di migliaia di morti da giovani neri e poveri provenienti dai distretti urbani della classe operaia. Vedi Keymer Avila e Magdalena Lopez, “Niverpolitical in Bolivaria Venezuela: Lo Stato come macchina da guerra”, Cahiers des Amériques Latins, No. 103, 2023 [online.
(3) Questa testimonianza fa eco al comunicato stampa dell’organizzazione femminista “Les comadres púrpuras” preoccupata per lo scenario di repressione post-elettorale che rischia di rendere la vita ancora più difficile e richiede la costruzione di nuove pratiche e strategie di cura. Vedi “Prácticas que buscan embrutecer y promover la mediacridad del pensamento critico”. Las comadres purpuras, 31 luglio 2024 [online].
(4) Durante il taglio generalizzato dell'elettricità nel 2019, le autorità hanno avanzato varie spiegazioni, tra cui incendi, attacchi informatici, tra gli altri. Giustificazioni che ne affiancano di più surreali come l’azione delle iguane sulle centrali elettriche. L’iguana che attacca il sistema elettrico è diventata un’immagine comune e ironicamente utilizzata per criticare l’assenza di spiegazioni da parte governo Maduro.
(5) La sinistra dissidente e i ricercatori locali che lavorano con le classi lavoratrici spiegano come l'opposizione tradizionale non abbia i mezzi per incanalare strategicamente queste mobilitazioni. Le proteste non sono partite in seguito ad alcun appello da parte alcuna organizzazione politica. Le origini geografiche e sociali dei manifestanti, così come i loro codici politici, erano molto lontane da quelle dei tradizionali sostenitori dell’opposizione. A questo proposito, vedi: Rebecca Hanson e Veranica zuillaga, “Le proteste masposi scoppiano di nuovo per le contestate elezioni in Venezuela – ma questa volta sembrano diverse”, The Conversation, 31 luglio 2024 on line.
(6) Vedere un estratto su questo tweet: https://x.com/Karenmendezl/status/1819498113071304806.
(7) Gli scrutatori sono persone accreditate dal CNE per conto dei partiti politici che partecipano alle elezioni, avendo il diritto di garantire il corretto svolgimento della procedura elettorale nei rispettivi uffici, partecipando anche al conteggio e alla verifica finale dei risultati. Si prevede che questi scrutatori ottengano al termine del conteggio copie dei verbali dalle macchine adibite al voto. |
La traduzione automatica e stata rivista, assai incisivamente, da Lillo Cannarozzo Articolo originale https://www.contretemps.eu/gauche-internationaliste-elections-venezuela/ |