Afghanistan, dieci anni bastano. L'esercito accusa i "suoi" servizi
di Checchino Antonini
su Liberazione del 07/10/2011
Un generale accusa: militari italiani senza intelligence adeguata
007
superflui per la sicurezza dei "nostri" in Afghanistan. Le accuse
provengono da dentro l'esercito e sono chiarissime e durissime, da non
lasciare spazio a interpretazioni. L'inutilità della presenza degli
elementi dell'Aise all'interno del compound dove c'è l'esercito
italiano e, soprattutto, la mancanza del livello minimo di copertura di
intelligence per prevenire gli attentati contro i militari italiani, la
segnala un generale dei paracadutisti, Carmine Masiello. Classe 1963,
Masiello è uscito dall'Accademia di Modena nel 1983 per salire nella
scala di comando della Folgore, ha frequentato la Scuola
dell'artiglieria Usa e ha avuto ruoli cruciali nelle missioni Unifil in
Libano, alle operazioni Provide Comfort nell'Iraq settentrionale, Ibis
in Somalia, Implementation Force in Bosnia. E' pluribrevettato e
pluridecorato. Ma è anche un ufficiale che, stanco di tanta
inefficienza e di tante morti, a settembre ha preso carta e penna e
scritto la durissima reprimenda, inviandola al generale Abrate, Capo di
Stato Maggiore della Difesa.
Uno scontro tra militari e 007 che
viene da lontano. E parte proprio dalla storia raccontata il 14
settembre da Liberazione della sciagurata e dilettantesca operazione di
debriefing che portò all'individuazione e all'arresto dei componenti
della rete clandestina di informatori dell'allora Sismi e allo
smantellamento del network di copertura che doveva contribuire a
garantire l'incolumità dei soldati presenti in Afghanistan, tant'è che,
numeri alla mano, da dopo quel giorno il numero dei morti è triplicato.
Ora
le rivelazioni che una ex fonte del Sismi ha fatto a Liberazione
trovano una eco importantissima proprio al ministero della Difesa, dove
lo scontro in atto tra il generale Masiello e i vertici dei servizi
segreti è ai massimi livelli. La lettera di Masiello è dei primi di
settembre, da allora l'Aise si è informalmente difeso dicendo che il
generale era mosso da rancori personali e quindi non attendibile.
Masiello aveva fatto parte dell'Aise fino ad alcuni anni fa, poi era
stato messo nelle condizioni di chiedere di ritornare all'esercito. Non
cacciato, ma messo nelle condizioni di doversene andare. Qualcun altro
avrebbe detto mobbizzato. L'Aise ha mandato in Afghanistan un nuovo
gruppo di 007, la cui attività è stata giudicata dai militari ancora
inadeguata. A quel punto dai militari in Afghanistan è arrivata a metà
settembre una seconda lettera sempre indirizzata al generale Abrate,
nella quale si parlava di «nefandezze» e si parla anche di presenza
inutile dell'Aise anche «in altre missioni». In particolare, quella in
Afghanistan viene definita una missione militare dove si rileva «la
completa mancanza di attività di intelligence nell'area».
Intanto
Alì, il giornalista pakistano che ha rivelato a Liberazione la vicenda
della debacle del network di informatori che l'Italia aveva addestrato
per infiltrarli tra madrasse e tribù, ha contattato di nuovo questo
giornale aggiungendo altri particolari sconcertanti. Tra i componenti
della rete clandestina del Sismi arrestati e torturati dai servizi
segreti del Pakistan c'era un medico, Abdul Wadud, che dopo quella
vicenda è stato costretto a lavorare per l'Isi, l'intelligence di
Islamabad e, ovviamente sotto minaccia di morte, distruggere e
danneggiare tutto quello che aveva fatto in favore degli italiani. I
servizi segreti pakistani avevano dato a Wadud un cellulare con questo
numero +923449833168 attraverso il quale comunicare esclusivamente con
l'ufficiale che lo controllava. E' un'altra prova che dopo la scoperta
della nostra rete clandestina i pakistani hanno cercato di vendicarsi e
anche questo spiega i maggiori rischi corsi dal nostro personale. Ecco
come la legge Gigi Malabarba, oggi a Sinistra critica ma fino al 2006
membro del comitato parlamentare di vigilanza, allora Copaco ora
Copasir: «Dopo lo smantellamento delle squadre operative dell'ex-Sismi
in Medio Oriente e nel mondo arabo, dovute allo spoilsystem operato dal
nuovo plenipotenziario dei servizi segreti Gianni De Gennaro, i rischi
per i militari italiani impegnati nelle missioni di guerra sono
sicuramente aumentati. Ma dalle denunce riportate da Liberazione, che,
per le mie conoscenze all'interno del Copaco, ritengo assai
attendibili, la situazione appare persino più grave: motivo in più per
tornare a mobilitarsi per il ritiro da tutti i teatri di guerra, senza
se e senza ma».
Tutto ciò piomba in un'Italia distratta dalla crisi
proprio nel decimo anniversario delle prime bombe su Kabul a poche
settimane dal crollo delle Torri gemelle. Politica sorda (anche se
probabilmente il Copasir si sta muovendo) e giornali muti senza bisogno
di legge bavaglio. «Succede che, a differenza dell'Imperialismo
ottocentesco, quando ai generali piaceva farsi fotografare con i piedi
sulla testa dei cadaveri dei nemici, questo imperialismo umanitario
commemora gli attacchi che subisce e nasconde i massacri che produce -
dice Paolo Ferrero, segretario di Rifondazione comunista - quella
afghana è una guerra nascosta in cui è palese che l'oggetto della
guerra non è la democrazia e nemmeno il narcotraffico. La cosa più
impressionante è che a partire dal Presidente della Repubblica nessuno
la chiami guerra, come quel vescovo che volendo mangiare carne il
venerdì la battezzava carpa. Ma anche in questo si legge la crisi del
capitalismo che, negando l'evidenza, aggiunge falsa coscienza a falsa
coscienza». «Trovo davvero scandaloso che non se ne parli - dice anche
Flavio Lotti, portavoce della Tavola della pace - un mese fa non c'è
stato un giornale che non abbia dedicato ampio spazio al decennale
dell'11 settembre. Oggi invece il silenzio è totale su una guerra
disastrosa che ci vede ancora pienamente coinvolti. Se il primo anno di
guerra in Afghanistan ai contribuenti è costato circa 70 milioni di
euro, oggi ne costa più di 700, due milioni di euro al giorno».