TV fra pura propaganda e modello sociale
Il recente articolo di Cannavò è
finalmente uscito dalla sottovalutazione ed approssimazione con cui la
politica di sinistra affronta, malgrado le sollecitazioni degli
specialisti a lei vicini, il ruolo degli strumenti di comunicazione di
massa, e della televisione in particolare, nel determinare gli
atteggiamenti popolari.
Ricordo quanta fatica, negli anni '80, per convincere Vincenzo Vita – pur intelligente responsabile del PCI per i media- che il problema NON era contestare quanti secondi di TG erano riservati a questo o quel parlamentare bensì quale ideologia si stesse affermando nei programmi cosiddetti d'intrattenimento.
Oggi che la realtà televisiva è completamente degenerata è sempre più evidente come i TG più che cercare di convincere (lasciamo perdere informare..) cerchino di suscitare allarmi; i clandestini, la criminalità, il terrorismo islamico, le catastrofi. Per fortuna che c'è il governo che interviene, basta che, questo è il messaggio subliminale, i cittadini non si facciano condizionare troppo da un buonismo tipicamente italiano, che nell'emergenza è ormai fuori luogo.
I TG sono ormai a presidio dello stato di emergenza, a cui si deve rispondere con subalternità e, non si sa perché, ottimismo obbligatorio.
Ma nell'esperienza di tutti i giorni il cittadino non incontra, soprattutto non come presenza minacciosa, l'immigrato e per fortuna -sennò avrebbero ragione i TG- raramente la criminalità e le catastrofi e mai il terrorismo islamico che tante risorse ed energie ci costa, compreso qualche morto nella Folgore.
Il cittadino ha altri problemi (disoccupazione, salari, servizi e congestione delle città) la cui analisi è poco gradita al governo e che, se affrontati con lucidità, potrebbero vanificare gli sforzi imbonitori dei telegiornali. Ma qui entra l'ideologia, non quella con la maiuscola bensì quella analizzata a suo tempo da Althusser in “Per Marx”. Cioè quell'insieme di norme etico-pratiche che semplificano le nostre risposte agli eventi, diciamo la prima reazione automatica, d'istinto alle cose.
Lo scenario, o la narrazione come si dice oggi, in cui inserire ciò che ci capita non ce lo inventiamo noi sul momento ma proviene dall'ambiente in cui viviamo, da ciò che abbiamo assimilato nel profondo e dalla similitudine con avvenimenti che abbiamo visto o vissuto con particolare coinvolgimento emotivo. E qui entra in gioco l'importanza dei media, dell'impatto e sedimento prerazionale che lasciano nelle nostre menti.
L'attitudine a vedere di primo acchito possibili risposte di sinistra agli eventi, anche minuti, della propria esistenza il popolo l'ha acquisita non solo dai messaggi razionali delle sue organizzazioni (oltre che dai ricordi emotivi delle belle bandiere) ma anche -forse soprattutto- nei messaggi emozionali che i suoi media nelle diverse epoche gli hanno trasmesso. Dal contenuto sovversivo del cristianesimo originario, ai grandi romanzi d'appendice, al cinema, alla televisione pedagogica (ma con che qualità!) dei suoi primi vent'anni. Compresi alcuni media bassi, come i fotoromanzi, che pure nei primi anni settanta tentarono di essere un po' meno edulcorati testimoni del vivere popolare.
Non si è mai studiata l'importanza della formazione sentimentale della gioventù, degli strumenti per influenzarla e del rilievo generale che questa formazione assumerà per la società tutta. Purtroppo Mediaset si è posta come obbiettivo il monopolio e la devastazione di queste giovani coscienze con talk-show e reality specificatamente indirizzati a loro. Un mix micidiale di sdilinquimenti sentimentali, deliranti litigi in diretta completamente privi di oggetto se non la disperata affermazione di sé, alla ricerca di un successo presentato come inevitabilmente individuale e frutto della lotta concorrenziale contro tutti, la negazione di qualsiasi possibile socialità. E la RAI si adegua per pigrizia, ignavia e per la drogata battaglia degli ascolti che premia una direzione non solo passata alla concorrenza ma che ormai proviene quasi tutta dalla concorrenza.
Con questo esempio arriviamo al punto: la vera propaganda politica si fa in televisione non tanto con i TG od i programmi esplicitamente politico/culturali ma con il cosiddetto intrattenimento.
Più grave della cacciata del povero Curzi dal TG3 (comunque con conseguenze più pesanti di un'elezione persa) è stato l'allontanamento di Freccero dai programmi e, più ancora di Voglino, responsabile delle riviste della Terza Rete. Il sistema MediaRaiset in quegli anni, con l'attiva complicità dei degenerati eredi del PCI infastiditi dagli sberleffi dei fratelli Guzzanti, trasferirono a forza la rivista televisiva prima su orari di seconda e terza serata e poi direttamente su Italia 1 e Striscia la Notizia. Con pazienza, senza strappare bruscamente tradizioni e linguaggi (il privato ha anche veri problemi di ascolti, immediatamente dopo la loro resa politica) la rivista venne totalmente depotenziata. Oggi si sono ridotti letteralmente a cercare di far ridere con bambini che cadono dal seggiolone!
La grande rivista RAI aveva avuto un'importanza fondamentale nella formazione e costituzione delle personalità dei giovani della generazione del '68. Da Bandiera Gialla a L'altra Domenica a Studio 1 a La TV delle Ragazze e Avanzi fino a Luttazzi è lunghissimo l'elenco di trasmissioni televisive che, senza parlare mai di politica -nel senso classico- furono esempio di un atteggiamento laico, critico, ironico ed antiretorico che aveva come conseguenza spesso inevitabile un avvicinamento degli spettatori ai messaggi razionali dell'opposizione politica.
La fine di questo tipo di trasmissioni, di cui sopravvive a stento ed in tarda serata solo Parla con me, ha anticipato e non seguito, la crisi generale della sinistra.
Possiamo dire che il reality abbia sostituito la satira come strumento di condizionamento da destra, fautore di un atteggiamento sociale passivo, conformista, consumista, individualista e concorrenziale fino alla caricatura del liberismo, con eroine assatanate e culturisti di periferia in lite perenne per un pubblico di voyeur cialtroni quanto ignoranti. Insomma, detto in termini un po' più nobili, la morale di Sganarello di gramsciana memoria.
Una sorta di profezia auto-realizzante della sorte intellettuale del proprio pubblico.
Non è solo il tipo di messaggio politico che emerge dalla nuova televisione ad essere preoccupante ma c'è anche un degrado della pura e semplice qualità formale che rischia di essere un modello per la banalizzazione dell'intera nostra esistenza. Non è tanto sul livello dei prodotti massimi che questa qualità è scomparsa (anche se oggi non vi è traccia nella programmazione né di un Orlando furioso di Ronconi né di un Pinocchio di Comencini o degli Intervalli di Ciprì e Maresco, la RAI era la migliore televisione del mondo) quanto ancor più nella normale televisione di flusso.
All'epoca di Carosello vi era una severa commissione che, prima di definire il contratto economico, valutava la qualità formale dell'inserzione televisiva...Qualcuno di voi ha visto i recenti spot sulle suonerie telefoniche?
E' quanto mai urgente mobilitare ed organizzare un'opposizione popolare a questa televisione proprio perché la prima, tra le tante emergenze nel nostro paese, è quella culturale.
Visto che, dati i rapporti di forza, non è possibile modificare dall'interno la programmazione televisiva è nell'urgente costituzione di un'emittente TV alternativa che si potrebbe misurare la volontà di convergenza delle forze di sinistra italiane. Oggi con il digitale terrestre ci potrebbe forse essere la possibilità tecnica di realizzare una rete televisiva di sinistra in grado di sopravvivere economicamente, ribaltando così l'impostazione promediaset della recente innovazione tecnologica, purché se ne attribuisca la gestione in piena autonomia ad uno dei tanti specialisti del settore onesti, capaci e perciò epurati. E senza, beninteso, ricominciare a contare i secondi dati ad uno in confronto a quelli concessi ad un altro... Qualunque venditore di tappeti o periferica concessionaria di automobili gestisce una rete TV, possibile che per noi sia impossibile?
La cultura della destra in Italia e Berlusconi
Sempre riferendomi all'articolo su Erre di Cannavò concordo assolutamente con lui che la destra, pur occupando ormai anche la direzione dei centri di cultura, non sia portatrice di un modello ideologicamente completo, forte ed unitario.
Ma se questo è un problema per la destra mi chiedo se lo sia altrettanto per il presidente del consiglio. Che è un politico sui generis.
Il Nostro tutto sommato non ha, (ancora?) perché abbiamo visto non ne ha bisogno, instaurato una dittatura esplicita in Italia ma il suo potere supera quello che si concentrava nel passato anche nelle mani di dittatori come Mussolini. Mussolini non era il più ricco imprenditore d'Italia, né il di gran lunga più grande editore, il suo Minculpop controllava la cultura nazionale meno della Fininvest, non possedeva come proprietà personale le sedi del PNF (di cui era segretario e non acclamato presidente) ed era sottoposto all'autorità del Gran Consiglio del fascismo che infatti arrivò a deporlo.
Dov'è, istituzionalmente, il Gran Consiglio della PdL? Si può rispondere ironicamente “all'Hotel delle Palme di Palermo” o “in viale dell'Astronomia (sede della Confindustria)” ma sappiamo che in fondo non è, o non è più, così. Quest'ometto è riuscito a riunire in se il potere politico, economico ed informativo/ideologico: non per nulla vuole bastonare l'unico che resta fuori, il giudiziario.
Ha nominato degli attendenti e non dei ministri; uomini e donne privi di qualunque valore tecnico (tranne Tremonti), che nella giungla politica solo con le proprie forze non sopravviverebbero un giorno. Miracolati che devono tutto al capo e lo sanno.
Pur nella sua posizione politica anomala, quanto fortissima, Berlusconi deve comunque rispettare il ruolo necessariamente centrista di qualunque comune responsabile di partito. E lui si colloca tra la Lega e AN.
Ma non nel senso classico di una destra ed una sinistra del suo schieramento (entrambi sono poli di destra) quanto in una dialettica che si potrebbe definire con i termini prepolitici di Hobbes: tra un Behemoth che incarna il caos e la dissoluzione ed un Leviatano che tutto unifica a forza sotto un'autorità dittatoriale.
Berlusconi si fa garante, presso padroni, cattolici e benpensanti che nessuno di questi poli avrà il sopravvento, né un protocapitalismo dissolutore né uno statalismo erede comunque dell'età delle masse novecentesca. Ma neppure vuole essere incastrato in una posizione precisa tra questi due poli, pretende di poter cambiare continuamente la propria mediazione politica secondo le necessità, ed anche i capricci, del momento. In ciò e veramente l'erede del mussolinismo, i cui fedeli non devono avere una troppo robusta ideologia, a loro deve bastare un credo pienamente italiota: “il capo ha sempre ragione”!
Quest'obbedienza e quest'equilibrio, in assenza di una qualsiasi opposizione significativa, significano stabilità ed ordine.
Per le soddisfazioni, se siete poveri, sperate nelle lotterie o sintonizzatevi sul reality preferito.
Giorgio Carlin, Torino 22-08-09