La programmazione ospedaliera a Livorno e la politica sanitaria in Toscana



Dubbi e critiche sta suscitando nella nostra regione l'applicazione negli ospedali del modello cosiddetto "a intensità di cure". Sempre più sono coloro che reputano tale modello non solo inadeguato ai bisogni di cura ed assistenza dei cittadini, ma a volte persino pericoloso. In particolare ha suscitato scalpore la morte di una anziana degente avvenuta ai primi di agosto di quest'anno in un ospedale fiorentino, visitata da un medico un'ora e mezza dopo la richiesta d'intervento da parte del personale infermieristico, perché contemporaneamente impegnato in un altro caso altrettanto urgente. Nel dibattito che ne è seguito sono intervenuti autorevoli esperti: chi criticando il modello d'intensità di cure tout court, chi demolendo la filosofia e il modo in cui è stato applicato dalla regione toscana.

In merito a questo caso l'azienda sanitaria di Firenze si è difesa affermando che la paziente era stata seguita "efficacemente" in quanto inserita in un'area a medio-alta complessità nella quale, per 20 degenti, si garantisce la presenza di 2 infermieri professionali e 2 operatori socio sanitari, oltre al medico di guardia. Questo modello, infatti, prevede all'interno di quel tipo di struttura la presenza continuativa di una cellula di assistenza costituita solo da infermieri professionali ed operatori sanitari, spesso obbligati a seguire ammalati con patologie molto diverse. Il medico invece si trova decentrato, a disposizione di più cellule e interviene solo se richiesto. Succede quindi anche in questo tipo di organizzazione che il medico sia costretto a "rincorrere" il paziente, magari da un piano all'altro della tanto decantata tipologia del "monoblocco" che la Regione vuole generalizzare e imporre anche a Livorno.

Nel caso citato è evidentemente mancata la presenza immediata del medico, perché impegnato in un'altra emergenza, cosicché il sistema, nei fatti, delega la diagnosi e la cura alla "cellula" di infermieri ed operatori sanitari. Diversamente sarebbero andate le cose se fosse stato immediatamente presente un medico in grado, per formazione, di formulare un'ipotesi diagnostica, assumersi le opportune responsabilità, coordinare gli altri operatori ed eventualmente altri medici specialisti.

Ma l'ospedale "ad intensità di cure", evidentemente, non garantisce questo tipo di operatività e tanto meno "l'integrazione degli specialisti" millantata dai sostenitori del modello come valore aggiunto, ma che in realtà è sempre esistita anche nei reparti tradizionali. Essa invece nel caso in questione è venuta a mancare così come è venuta a mancare la possibilità di dispiegare le competenze del personale qualificato. Il fatto è che il modello ad intensità di cure mette al centro della funzionalità l'astratta organizzazione, trascurando invece la valorizzazione delle competenze e dell'esperienza del personale medico e non.

Anche nel nostro ospedale, laddove è stata applicato il modello ad intensità di cure, spesso capita di incontrare medici ed infermieri super stressati e costretti, gli uni e gli altri, ad occuparsi di incombenze che vanno aldilà delle proprie competenze le quali, d'altro canto, spesso sono sottoutilizzate se non addirittura ignorate. A questo si aggiunga il fatto che non solo i malati ed i familiari di frequente non hanno una figura professionale di riferimento a cui rivolgersi, ma a volte capita che operatori di altre strutture dello stesso nosocomio abbiano notevoli difficoltà a rapportarsi con il professionista competente del caso, a causa della farraginosità dell'organizzazione che a suo tempo fu imposta senza un adeguato processo di coinvolgimento del personale né nella fase progettuale né in quella attuativa.

Ecco cosa vuol dire "ospedale ad intensità di cura" aldilà delle formulazioni ingenue quanto banali, spesso al limite del gioco retorico, tanto care al Governatore Enrico Rossi e all'Assessore alla sanità Luigi Marroni.

Viene quindi spontaneo domandarsi se tale modello sia stato ritenuto efficace dalla Regione Toscana, al di la di questo “sfortunati” caso, per via di precisi ed importanti studi empirici e di concrete sperimentazioni.

Sembrerebbe di no.

Come infatti è stato sollevato nel dibattito che ne è seguito, questo modello non è mai stato messo a confronto con altri (la valutazione fatta su alcuni ospedali pilota dal MeS dell'Istituto Sant'Anna non può certo essere considerato sufficiente) e non è mai stato sperimentato prima di essere messa in pratica, senza studi empirici e formali in grado di convalidarne l’efficacia e fornire dati a supporto del fatto che un ospedale organizzato per intensità di cure abbia risultati superiori rispetto a un ospedale organizzato per dipartimenti.

In realtà la decisione di strutturare i nostri ospedali per intensità di cura è stata finalizzata alla sola riduzione degli organici rispetto al numero dei posti letto, e non di certo a ottimizzare l'impegno del personale e a razionalizzare la sanità.

Una verità talmente evidente che importante un ex primario toscano come il Dr Tulli ha ironicamente parlato di “intensità di risparmio” concordando con le affermazioni del dr Giuseppe Remuzzi (considerato uno tra i sei scienziati italiani più influenti al mondo), che avevano sottolineato come il sistema di intensità di cura sia stato applicato in modo frettoloso e senza verifiche, sottolineando anche l’assenza di qualsiasi integrazione con le attività sanitarie territoriali in grado di “liberare” l’ospedale dai malati cronici e con dipartimento ambulatoriale ben funzionante ed efficace.

Stiamo quindi assistendo ad una rincorsa a dei risparmi dei costi che nascono anche da una irresponsabile interpretazione dell’infermiere come sostituto del dottore a minor costo, accentuando così la conflittualità tra le due figure e non certo a rafforzare l’idea di squadra omogenea.

Non è un caso che queste novità siano nate quando la Regione ha rischiato di essere commissariata e ha accompagnato questa riforma con Direttori generali che, in modo burocratico e verticistico, hanno solamente cercato di tagliare costi economici, riducendo posti letto e accorpando servizi, senza alcun coinvolgimento dei professionisti e mettendo a tacere in modo autoritario qualsiasi voce libera e critica.

Il dibattito che si sta svolgendo a Livorno su "Nuovo ospedale" o "ristrutturazione" di quello situato in viale Alfieri perde quindi molto della sua valenza se non lo si inserisce all'interno di una critica più complessiva e radicale che deve riguardare la politica sanitaria della Regione di questi ultimi anni nel suo complesso.

E' evidente che dietro la proposta di un nuovo ospedale dal PD presentata a Livorno si nascondevano chiari intenti speculativi, in modo particolare sull'area del vecchio ospedale appetibile ai noti immobiliaristi, per altro devastanti dal punto di vista paesaggistico in una delle aree più belle di Livorno, ma anche in quanto palese "cavallo di Troia" finalizzato a far entrare interessi privati (tramite il financing project) che ne avrebbero ridotto la qualità e il valore universale e pubblico della sanità livornese

Ma riteniamo però che la proposta di un nuovo ospedale "monoblocco" legato all'applicazione del modello a intensità di cura è dannosa quanto lo sarebbe una decisione che riguardasse la ristrutturazione del vecchio ospedale, qualora questa avvenisse sempre in modo funzionale a questo sistema e al taglio di posti letto e di risparmi a cui è strettamente e indissolubilmente legato.

Noi crediamo quindi che diverse dovrebbero essere le finalità degli investimenti che devono essere rivolti non tanto a favorire l'ipertecnologia (talvolta inutile e sottoutilizzata  coni alti costi di gestione e manutenzione) degli ospedali universitari, ma piuttosto garantire i posti letto e i piccoli ospedali decentrati nel territorio, a favorire l'educazione e la prevenzione, la formazione e la valorizzazione, anche salariale, del personale sanitario (per fare solo due esempi livornesi: le liste di attesa per mammografie ed ecografie non sono dovute a mancanza della tecnologia necessari, ma a carenza di personale e di formazione), la creazione di una struttura di base in grado di garantire sul territorio una assistenza diffusa, più efficace ed umana, di sostegno dei malati e delle loro famiglie.Dobbiamo rompere quindi con una visione tutta tecnicista e meccanicista della cura e della salute, anche ritornando a protocolli e ad organizzazioni che mettano al centro il malato, garantendo posti letto necessari e disponibili, dei pronto soccorso funzionanti, con tempi di osservazioni (anche postoperatori) adeguati, cura ed ascolto da parte degli operatori.  Ma soprattutto diventa sempre più urgente difendere il valore universale e la gratuità del sistema sanitario e del diritto alla salute, in un momento in cui è sottoposto ad un pesante attacco da pare delle politiche di austerità e "spending review" del governo Renzi/Napolitano.

9/9/14

Sinistra Anticapitalista Livorno