Cub - Confederazione Cobas - SdL intercategoriale

Assemblea Nazionale

17 maggio 2008 - Milano - Teatro Smeraldo – ore 09.00

CONTINUARE LE LOTTE E LA MOBILITAZIONE


PER IL SALARIO, LA SICUREZZA NEI LUOGHI DI LAVORO, I DIRITTI SINDACALI PER I LAVORATORI E PARI DIRITTI PER TUTTE LE ORGANIZZAZIONI, LA CONTINUITÀ DEL REDDITO E CONTRO LA PRECARIETA’

Apriamo l’assemblea nazionale promossa dalla CUB, dalla Confederazione Cobas, dall’SdL Intercategoriale salutando tutte le delegate e i delegati intervenuti, che sono arrivati qui da ogni parte del Paese per dare il proprio contributo a questo importante momento unitario di confronto, per definire assieme come continuare nel percorso unitario di lotta e di mobilitazione che ormai abbiamo intrapreso da tempo. Salutiamo e ringraziamo anche tutti quei lavoratori, delegati, soggetti che, pur se esterni alle organizzazioni promotrici, hanno deciso di partecipare e dare il proprio contributo a quest’ Assemblea

Questa relazione è unitaria e chi la legge lo fa a nome e per conto di tutte e tre le organizzazioni promotrici. Vogliamo con oggi inaugurare un metodo nuovo di relazioni tra noi che sia permanente e non episodico, che metta insieme soggetti diversi che però ritengono utile confrontarsi sulle cose da fare e, ove possibile, decidere di farle assieme. Questa assemblea sarà animata direttamente dagli interventi dei delegati che provengono dai luoghi di lavoro e dai territori per segnare ancora di più la volontà di procedere unitariamente e per restituire la parola direttamente ai luoghi di lavoro e ai delegati dei lavoratori.

L'Assemblea di oggi dà continuità al percorso di mobilitazione e di lotta che il sindacalismo di base ha intrapreso da tempo e che ha portato a realizzare tre scioperi generali nei due anni del governo Prodi e a lanciare campagne quali quella in difesa della previdenza pubblica e contro lo scippo del tfr.

Questa battaglia è stata emblematica perché è stato battuto il fronte costituito da imprese, banche, assicurazioni e i piazzisti di cigl, cisl e uil. che avevano visto la possibilità di mettere le mani su un patrimonio di 13 miliardi di euro all'anno rappresentato dal tfr in maturazione e di smantellare la previdenza pubblica.

Le nostre parole d'ordine sono state e rimangono :forti aumenti di salari, pensioni pubbliche, lotta alla precarietà lavorativa e sociale, continuità del reddito, per la sicurezza nei posti di lavoro, per lo stato sociale, per la democrazia nei luoghi di lavoro e per pari diritti tra le organizzazioni sono state e sono le parole d’ordine delle nostre mobilitazioni. Esse restano decisive per migliorare le condizioni di vita e di lavoro di vasti strati sociali che sentono oggi sulle loro spalle la fatica del vivere, in una società in cui aumentano le disuguaglianze sociali ed in cui si dissolvono le speranze e le piccole sicurezze che hanno accompagnato le generazioni precedenti.

Su questi temi e contro l'accordo sottoscritto da Cgil Cisl Uil, il 23 luglio del 2007, abbiamo prodotto molte iniziative di lotta fino allo sciopero del 9 novembre con il quale abbiamo risposto con forza con una giornata di lotta che ha attraversato l'Italia con ben 32 iniziative di mobilitazione in altrettanti città.

Uno sciopero che ha avuto una rilevanza significativa sia nelle adesioni, sia nella partecipazione alle manifestazioni, sia nel risalto che ha avuto sulla stampa: una dimostrazione di quanto potenzialmente è possibile fare quando gli obiettivi sono chiari, condivisi dai lavoratori ed indicati in modo unitario.

Un percorso comune che, proprio per le differenze tra le organizzazioni di base, sia rispetto alla storia, sia per impostazione sindacale e metodi di lavoro, risulta ancor più importante e carico di aspettative.

Questa Assemblea si colloca temporalmente nel nuovo scenario politico/sindacale uscito dalle urne del 13 e 14 aprile ma la avevamo annunciata e preparata ben prima di quella data perchè l’assemblea di oggi è interna al percorso di mobilitazione e di lotta che queste organizzazioni hanno intrapreso da tempo e che ha portato anche ad azioni congiunte, spesso insieme ad altri sindacati di base, come avvenuto con lo sciopero del 9 novembre scorso.

I vari governi di centrodestra e centrosinistra che si sono susseguiti negli ultimi quindici anni, oltre ad aver prodotto una significativa riduzione degli spazi democratici di questo Paese, dentro e fuori le dinamiche del mondo del lavoro, ha di fatto impoverito in modo sostanziale enormi masse di lavoratori, attuando una redistribuzione della ricchezza, a favore del profitto ed a discapito delle buste paga e delle pensioni, che ha toccato ormai livelli di insostenibilità tale da indurre la stessa borghesia a segnalare il fenomeno e a chiedere riparo.

Adesso tutti hanno scoperto, compresi Cgil Cisl Uil (che ne portano la responsabilità) quanto da anni andiamo dicendo e motivando: in 25 anni circa l’8% del PIL (prodotto interno lordo italiano) è passato dalle mani dei lavoratori a quelle dei padroni. Stiamo parlando di una cifra totale pari a oltre 120 miliardi di euro, cioè 7.000 euro medie in meno in busta paga per i circa 17 milioni di lavoratori dipendenti.

Una redistribuzione del reddito che segna una vittoria senza precedenti del padronato italiano e che riproduce squilibri economici che non si vedevano dal dopoguerra.

In sostanza, come qualcuno ha sostenuto in questi giorni, la lotta di classe esiste ancora ed è ferocemente praticata dal padronato italiano, in questi anni sta spostando risorse economiche, diritti e certezze, dal mondo del lavoro a quello del capitale.

Il paradosso è che oggi si parla dei bassi salari perché le scarse risorse a disposizione dei lavoratori e dei cittadini, stanno mettendo in crisi l’attuale sistema dei consumi e conseguentemente della produzione e del commercio.

Questi dati confermano che era fondata la nostra richiesta di aumenti salariali contrattuali di almeno 250 euro.

La redistribuzione del reddito si è sicuramente concretizzata con la sottrazione di risorse economiche perpetrato per decenni, e soprattutto dal 1992 in poi, a danno dei lavoratori dipendenti, attraverso l’abolizione della scala mobile ed una contrattazione nazionale vincolata all’inflazione programmata..

Ma ciò non è sufficiente a spiegare una così elevata redistribuzione del reddito: il mercato del lavoro sempre più deregolamentato, il ricatto continuo della delocalizzazione delle produzioni verso mercati del lavoro ancor più a basso costo, la definizione di contratti con doppi regimi salariali, la sottovalutazione sempre più pesante della sicurezza sul lavoro, l'attacco indiscriminato alla pensione pubblica e soprattutto la precarietà in tutti i suoi aspetti ed in tutte le sue forme, hanno accentuato ed accelerato l’attuale processo di impoverimento collettivo e di arricchimento di pochi, introducendo infine un senso di precarietà soggettiva e collettiva che supera i confini del lavoro dipendente ed invade la sfera della vita sociale degli individui.

Una precarietà ed una povertà che investono quindi non solo le modalità di lavoro ed il corrispettivo salario, ma anche la vita di tutti i giorni, l’impossibilità oggettiva di avere una famiglia, dei figli, una casa, un’assistenza sanitaria adeguata, una pensione accettabile.

Cgil Cisl Uil hanno assecondato queste politiche liberiste per contiguità “culturale”, e per condiscendenza all’obbiettivo della crescita economica senza limiti, di teorizzazione estrema della globalizzazione dei mercati, della deregolamentazione del mondo del lavoro e di bassi salari, quali unici possibili strumenti di sviluppo e di espansione delle economie e della finanza.

Più di ogni altro ne stanno facendo le spese i lavoratori immigrati per le politiche relative all’immigrazione, tutte asservite alla realizzazione del massimo profitto sulla loro pelle, che li considera meno delle merci, a cui perlomeno è concessa la libera circolazione.

La propaganda xenofoba e razzista, che sta alla base della Bossi Fini e della Turco Napolitano, ha ridotto in schiavitù migliaia di immigrati, clandestini per forza ma assolutamente necessari a questo sistema economico, che beneficia di un esercito di lavoratori in nero, ricattato, senza diritti e da utilizzare in funzione di una nuova guerra tra poveri.

Un “culto del dio mercato” che, passando attraverso la politica ed una comunicazione sempre meno oggettiva ed indipendente, sembrerebbe aver vinto “culturalmente” all’interno di una società sempre meno critica e sempre più succube di stereotipi e generalizzazioni telecomandate, quali la repulsione per il diverso, la generica ed ossessionante richiesta di sicurezza, l'utilizzo della guerra quale strumento economico di controversia e di scontro tra popoli e tra paesi e di governo dell’economia mondiale.

Grandi responsabilità nel quadro definito fin qui sono da attribuirsi a cgil, cisl e uil, che in nome del libero mercato hanno sostenuto la deregulation del mercato del lavoro, l’introduzione e lo sviluppo della precarietà, la trasformazione della contrattazione in un rituale ormai del tutto scontato, sempre al ribasso e sempre più legato alla produttività che sfocia quasi sempre in mancanza di sicurezza ed in omicidi sul lavoro.

Cgil Cisl Uil oggi accompagnate da UGL, hanno abbandonato la difesa dei ceti popolari, scambiando i diritti e le tutele dei lavoratori per conservare il monopolio della rappresentanza , mentre le loro strutture aziendali si calano sempre più nel ruolo di uffici staccati del personale.

E’ stato così costruito un sistema di relazioni industriali che ha espropriato i lavoratori dal proprio diritto di essere protagonisti nelle scelte che li riguardano, e ha utilizzato il sindacato concertativo come strumento per consentire politiche anti operaie di sostegno agli interessi del mercato e delle imprese. Un meccanismo di contrattazione autoreferenziale che legittima gli attori stessi attraverso la consumazione di un “rituale” riservato ad una ristretta schiera di soggetti, che perpetua il proprio potere, che lo difende e lo blinda rispetto alle richieste di reale rappresentanza dei lavoratori e da quelle esperienze sindacali che non accettano questo sistema ormai lontano dalla concretezza di chi lavora.

Ma al peggio non c'è mai fine: mentre il capitale modifica “intelligentemente” il tenore e le modalità di intervento a seconda del periodo storico e politico nel quale agisce, il sindacato confederale risponde alle richieste del padronato italiano sempre allo stesso modo, concertando e scambiando i diritti ed i salari dei lavoratori per incrementare i propri privilegi.

La proposta di Cgil Cisl Uil sulla contrattazione sancisce lo svuotamento del Contratto Nazionale realizzato in questi anni e propone di svuotarlo ancora di più. Si allunga il periodo di vigenza del CCNL a 3 anni con un conseguente peggioramento salariale e si sostituisce il concetto di “inflazione programmata” con quello di “ inflazione realisticamente prevedibile” infiocchettando il tutto con qualche richiesta di aggiustamento del paniere Istat.

E questa volta l'ipotesi sulla quale hanno convenuto è rappresentata da un nuovo modello contrattuale che sancisce la fine della funzione storica del contratto collettivo nazionale di lavoro che è, per noi, lo strumento attraverso cui si deve attuare la redistribuzione della ricchezza prodotta attraverso il lavoro. Oltre che per ottenere diritti esigibili.

Tale operazione era già stata avviata con gli accordi di luglio del 92 e del 93 che, togliendo la scala mobile, avevano attribuito ai contratti nazionali la residuale funzione di garantire, al più, il recupero dell’inflazione programmata decisa dal Governo. Ora il protocollo definito da cgil, cisl e uil ratifica definitivamente questa lettura e, non prevedendo alcun meccanismo automatico di rivalutazione dei salari, come da noi richiesto attraverso la raccolta di firme in calce alla Legge di iniziativa popolare per il ripristino della scala mobile, rende il CCNL davvero un atto notarile, che non ha nemmeno bisogno di essere discusso tra le parti, attraverso cui si indicheranno gli aumenti salariali possibili sulla scorta di un meccanismo di valutazione dell’aumento del costo della vita definito “prevedibile” non si sa bene né come né da chi! La contrattazione di secondo livello dovrebbe invece garantire i veri aumenti salariali, legandoli agli incrementi produttivi e all’andamento di impresa.

Oggi la contrattazione aziendale viene svolta da un numero ridotto di aziende medio grandi che corrispondono a circa il 20% dei lavoratori.

Tutti gli altri non la fanno, innanzitutto a causa della struttura produttiva italiana.

E' chiaro quindi che la contrattazione aziendale può essere fatta seriamente solo a livello delle aziende oltre i 250 dipendenti, ed è altrettanto chiaro il motivo per cui la produttività del lavoro nel nostro paese è bassa, infatti le microimprese non sono in grado di fare quegli investimenti necessari per aumentare il valore aggiunto, cosa che può essere realizzato dalle imprese maggiori.

La contrattazione aziendale, dove viene fatta deve garantire ai lavoratori il recupero di ulteriori quote della ricchezza prodotta, oltre che introdurre innovazioni contrattuali, sul versante dei diritti, da riproporre nella discussione del contratto nazionale.

Una contrattazione non di scambio che non va limitata al solo salario ma che deve affrontare e risolvere i problemi dei lavoratori in tema di orario,sicurezza e salute, precarietà, e carichi di lavoro, invece che, come oggi avviene e come si rafforza nella proposta di Cgil Cisl Uil, per risolvere i problemi delle aziende.

L'altro punto della proposta di Cgil Cisl Uil riguarda la democrazia e la rappresentanza, una proposta che non incide affatto sul ruolo di monopolio da essi detenuto e che lascia liberi i padroni di continuare a scegliersi il sindacato con il quale trattare.

Ma il protocollo è anche lo strumento attraverso cui si realizzano le mediazioni politico/sindacali tra le tre organizzazioni; la Cgil accetta di mettere mano, e con che pesantezza, al contratto nazionale, mentre la Cisl accetta di mettere mano, senza troppi sconvolgimenti, alla democrazia e alla rappresentanza sindacale.

Su questo importante tema innanzitutto bisogna sancire il diritto dei lavoratori a discutere ed approvare sia le piattaforme che gli accordi che li riguardano, ai vari livelli, con consultazioni vere e la possibilità per ipotesi contrapposte di essere rappresentate.

Le elezioni delle RSU debbono essere generalizzate in tutte le aziende, deve essere eliminata la clausola del terzo riservato ai firmatari dei contratti e debbono essere eliminate tutte le clausole discriminatorie tra le varie organizzazioni sindacali.

Debbono essere rese esigibili le trattenute in busta paga per tutte le organizzazioni sindacali.

Un accordo di questo tipo potrebbe scatenare una ulteriore reazione di forte dissenso dei lavoratori nei confronti di Cgil, Cisl e Uil riproponendo il tema della rappresentanza sindacale.

A fronte di questo nuovo e pesante attacco alle condizioni di lavoro ed alla democrazia, il sindacalismo di base ha oggi una nuova e maggiore responsabilità, come maggiori sono le aspettative nei suoi confronti da parte di moltitudini sempre più ampie di lavoratori.

Il diritto di assemblea deve essere garantito a tutte le organizzazioni.

E’ evidente a chiunque che la nuova situazione politica, la sconfitta cioè dell’ipotesi e dei soggetti politici di riferimento di cgil, cisl e uil nelle scorse elezioni, sia servita da carburante per accelerare la definizione del sindacato unico, unico nella sostanza anche se non ancora nella forma, e che il protocollo sia lo strumento attraverso cui, oltre a rispondere positivamente alle pressioni del padronato in tal senso, si stringono anche le maglie della rappresentanza sindacale perché non esista alcuna sponda esterna a cgil cisl e uil per quanti, e saranno molti, decideranno di lasciare definitivamente queste organizzazioni filo padronali ed antidemocratiche.

L'Assemblea di oggi e la condivisione di obiettivi tra le nostre organizzazioni è la prova che la coscienza di questa nuova responsabilità si è prima insinuata tra i militanti, tra i gruppi dirigenti ed i lavoratori stessi ed ha poi reso possibile un percorso che prescinde dalle singole specificità e vuole cogliere l'essenza stessa dell'emergenza alla quale siamo chiamati a dare risposte concrete: progettare e realizzare in tempi brevi una fase di conflitto sindacale che produca nuova consapevolezza tra i lavoratori, indicando una via di uscita credibile senza però aver paura di puntare ad obiettivi ambiziosi.

Per questo motivo dobbiamo e possiamo uscire da questa Assemblea con una piattaforma rivendicativa da presentare al Governo ed alle controparti datoriali, su cui chiamare i lavoratori alla mobilitazione e alla lotta ed i cui punti fondamentali devono essere i seguenti.

Oggi è più che mai necessario continuare sulla strada intrapresa negli ultimi anni indicando i punti centrali della piattaforma su cui rilanciare le lotte e il conflitto


Una piattaforma rivendicativa semplice e chiara che sicuramente indica obiettivi rilevanti non perché vuole essere un “libro dei sogni”, ma perché gli argomenti che tratta ed indaga e ai quali intende dare risposte, sono essi stessi bisogni altrettanto rilevanti ed urgenti, esigenze reali e concrete di chi lavora , di chi non riesce a farlo, di chi è precario e di chi non sopravvive con un salario ed una pensione da fame.

Una piattaforma che dovrà quindi essere alla base di una azione sindacale a livello nazionale e permeare e sorreggere qualsiasi vertenza locale ed aziendale andremo a costruire.

Da quest'Assemblea dovremo quindi uscire:

Tutto ciò si può ottenere attraverso la partecipazione, la chiarezza degli obiettivi, la mobilitazione ed il coinvolgimento dei lavoratori, di tutti i lavoratori e non soltanto di quelli che fanno esplicito riferimento al sindacalismo di base. Solo il riconoscimento di bisogni comuni e l'unità dei lavoratori su obiettivi chiari e condivisi, può riuscire finalmente a ridare potere ai lavoratori e ai ceti popolari